Dopo mesi infiniti di attesa,ecco a voi
la seconda puntata della Rubrica dei Libri, inaugurata la scorsa
primavera con questo articolo.
Per questo secondo appuntamento ho
scelto un romanzo molto più recente, di una storia meno
simbolica,ma ben più toccante nel suo tracciare il dolore umano.
L'idea di fondo del romanzo non è nuova, al contrario è un tema
classico della fantascienza, fin troppo usato e anzi spesso abusato
con risultati non sempre del tutto convincenti. Così di getto mi
vengono in mente due opere come il romanzo Ricambi, di Michael
Marshall Smith, e The Island, film del 2005 con Scarlett Johansson.
Pur essendo sue opere interessanti, in Non Lasciarmi di Ishiguro
siamo decisamente su di un altro livello.
Ne avevo già parlato sul blog Cronache
di un Sole Lontano, in questa sede ripropongo quanto già scritto con
alcune integrazioni che spero possano arricchire l'articolo e
convincervi a dare un'occasione a questo romanzo straordinario. Buona
lettura.
Kathy, Tommy e Ruth. Tre bambini, poi
tre ragazzi, in una sorta di orfanotrofio la cui funzione si svelerà
durante la trama. Questo è lo scenario iniziale del romanzo Non
Lasciarmi (Never let me go, 2005) di Kazuo Ishiguro (nel
2010 ne è stato tratto un film con lo stesso titolo).
La storia è narrata da Kathy, la vera
protagonista, e racconta le vicende nel collegio di Halisham, il
percorso attraverso i problemi in fondo classici della fanciullezza,
dell'adolescenza e infine dell'età adulta. Ma Kathy e i suoi due
amici non sono bambini normali, non sono semplici orfanelli, ma
piccoli cloni. La loro esistenza è dovuta alla necessità di
allevare serbatoi ambulanti di organi da utilizzare secondo le
necessità. Lo scopo ultimo nella vita dei piccoli di Halisham è
diventare donatori e subire degli interventi chirurgici che
fatalmente li porteranno alla morte per poter garantire la vita
altrui.
Questo è il loro triste destino,
questo il contesto in cui crescono insieme ad altri bambini in una
sorta di scuola che si occupa di loro come se la crescita e lo
sviluppo intellettivo di ciascuno dei bambini fosse importante per il
loro futuro. Caratteristica cardine del romanzo è infatti la
completa assenza della parola morte, sostituita dall'espressione
“finire il proprio ciclo”, così come i bambini sono studenti e
infine diverranno donatori, con la possibilità di ritardare la prima
donazione svolgendo la mansione di assistente e occupandosi delle
necessità e del benessere dei propri “colleghi”.
In questo destino già scritto i
ragazzi intrecciano le vite e stabiliscono legami affettivi, nascono
amicizie e, inevitabilmente, anche amori. Legami complicati, da una
realtà già di per sé anomala e dalla condizione di esclusi dal
mondo in cui i cloni sono obbligati a vivere.
Ishiguro, scrittore britannico di
chiari origini giapponesi, racconta una storia viva, densa di
emozioni (non tutte esattamente positive), che si snoda lenta tra i
vicoli dell'animo umano con il suo lascito di paure, sofferenze,
speranze e illusioni. Kathy, dall'animo sensibile, è una ragazzina a
volte ingenua che tende a provare empatia per gli altri e mette se
stessa in secondo piano pur di aiutare gli amici. Ruth al contrario è
esibizionista, egocentrica, manipolatrice, ma a modo suo affezionata
alla sua amica. Tommy invece è un ragazzino impulsivo, dall'animo
delicato ma incapace di controllarsi di fronte alle ingiustizie della
vita.
Ishiguro intreccia magistralmente
le storie dei ragazzi, delineando una realtà fuori dal mondo in cui
uomini privi di tale titolo vivono vite parallele che non lasceranno
traccia dopo la loro fine. L'ineluttabilità del destino pesa come un
macigno sulla vita dei protagonisti, che pure non smettono di sperare
fino all'ultimo di poter avere un attimo, un breve intervallo, da
poter vivere insieme, amandosi, fingendo che la loro vita non debba
per forza seguire i binari prestabiliti e finire in un letto
d'ospedale.
Non c'è ribellione, non c'è riscatto,
pur consapevoli della profonda ingiustizia di una condizione
abominevole, nessuno dei protagonisti del romanzo di Ishiguro ha
velleità di ribellione. La propria condizione è accettata, o meglio
subita, senza eroici atti di guerra. Il percorso umano è già
deciso, si può allungare la permanenza su questo mondo, si può
abbellire la propria prigione, si può arricchire il proprio
bagaglio, ma alla fine non c'è scampo.
È un romanzo che fa riflettere,
leggero nella forma ma pregno di senso, pesante nei contenuti.
Rimane, alla fine del percorso, un senso di ineluttabilità, di
perdita di senso. Resta la sensazione che le vite di ciascuno di noi
siano un breve attimo che non lascia più tracce di un sasso gettato
nell'acqua che increspa per pochi attimi la sua superficie per poi
perdersi negli abissi dove neppure i raggi del sole possono più
raggiungerlo. In questo triste destino ciascuno di noi sogna, vive,
intreccia legami e vive emozioni che hanno un significato finché
siamo noi stessi ad attribuirlo. Inevitabile andare con la
memoria alle famose lacrime nella pioggia degli androidi di Blade
Runner, o all'epitaffio di John Keats: “qui giace un uomo il cui
nome fu scritto nell'acqua”.
Un romanzo triste, privo di azione, in
cui forse non succede nulla. Ma un romanzo in cui in realtà si vive
una vita, con il suo fardello. E in un certo senso succede anche
troppo.
Vincenzo Cammalleri
Vincenzo Cammalleri