martedì 16 febbraio 2016

Letteratura di destra e di sinistra


 Oggi tiro fuori una polemica, di quelle che si sono raffreddate con la morte delle ideologie (che però non muoiono mai), ma che è sempre argomento buono per incendiare i salotti letterari.
Prima di iniziare devo fare una premessa: nell'argomentare farò riferimento a opere che appartengono al genere letterario conosciuto come fantascienza, questo semplicemente perché è il genere che più conosco e a cui posso riferirmi con cognizione di causa. Invito però chi non apprezza o non conosce il genere a proseguire comunque la lettura, e lo faccio per due motivi in particolare: il primo, e più importante, è che quanto dirò sulla fantascienza vale benissimo per qualunque altro genere letterario, quindi per tutta la letteratura e in generale per qualsiasi forma artistica; il secondo motivo, meno importante eppure comunque degno di menzione, è che chi meno conosce il genere potrebbe interessarsi ai testi che citerò e magari decidere di dare un'opportunità a una letteratura troppo spesso descritta ancora come omini verdi e raggi laser.
E adesso procediamo pure...

Mi è capitato qualche volta di sentir discutere persone ben più esperte di me e far riferimento a una vecchia polemica sulla fantascienza di destra e di sinistra, su questioni antiche come il muro di Berlino e sulla faziosità di certi personaggi. Il succo della faccenda starebbe nel ritenere o meno corretto strumentalizzare un testo letterario per veicolare idee di una certa parte politica, o nel ritenere fazioso chi a sua volta identifica un testo come "di destra" o "di sinistra".
Dico subito che a mio avviso a essere faziosa e strumentale è la stessa polemica e cercherò di farvi capire il perché.
Ognuno di noi ha le proprie idee, le proprie convinzioni, ed è normale che esse incidano su quanto un autore scrive e racconta, esattamente come è normale che incidano sulle sue amicizie e frequentazioni o sulla sua vita in generale.
Arte e letteratura sono impregnate della visione del mondo che, in quel preciso momento, era propria dell'autore dell'opera. Questo è particolarmente valido per quella che viene spesso definita come "letteratura impegnata" e ne è in effetti una caratteristica fortemente distintiva. Guai se non fosse così, significherebbe che tutto il tempo passato a leggere Sciascia sarebbe equivalso a prendere in mano un porno e sollazzare la mente invece del ventre.
Quando Sciascia narrava le sue storie non stava forse scrivendo qualcosa di politicamente impegnato? Qualcosa che può ben essere definito come letteratura politica? E più specificatamente come letteratura di sinistra?
Quando Orwell scrisse La Fattoria degli Animali non stava forse scrivendo letteratura di destra? E 1984 non è forse un'aspra critica dei totalitarismi? Il meraviglioso capolavoro di Tewis, Mockingbird, non è a sua volta letteratura politica? O ancora Dick nel suo meraviglioso racconto Le Pre-Persone non stava chiaramente scrivendo un'opera facilmente definibile come di destra? E Huxley, nello splendido Il Mondo Nuovo, non si rivolge con chiara preveggenza all'Occidente del dopoguerra mettendo in guardia la "gente comune" delineando brillantemente i punti chiave della sua oppressione? Non è tutto questo politica?
Autori diversi, testi diversi, momenti diversi della storia e perfino della vita di uno scrittore. Ognuno di loro ha cambiato più volte idea, crescendo e maturando come dovremmo fare noi tutti, sperimentando sulla propria pelle i fallimenti delle convinzioni più intime e modificando pezzo per pezzo una visione del mondo ogni volta inadeguata a descrivere la complessità della realtà.
La verità è che ciascuno di noi è costretto a guardare intorno a sé con il filtro delle proprie idee, tendendo a causa di ciò a inquadrare le altrui visioni come buone o cattive a seconda di come esse si incastrano con le sue. E non c'è niente di male in tutto questo, a patto però di esserne consapevoli.
Definire dispreggiativamente Heinlein come uno scrittore di destra solo perché non si condividono la sue posizioni è triste esattamente come non leggere No Logo di Naomi Klein perché è un libro di sinistra e a noi i comunisti proprio non piacciono.
Sostituite pure i nomi con chi volete, da Oriana Fallaci a Bauman o Tony Judt. Disprezzare un'opera, o un autore, perché di destra o di sinistra, mentre al contrario se ne elogia un altro a sua volta di destra o di sinistra semplicemente perché scrive le cose giuste significa essere chiusi nel proprio gretto e misero mondo incapaci di vedere come le opinioni altrui hanno lo stesso diritto di essere prese in considerazione delle nostre, come di essere brutalmente criticate al pari del diritto altrui di criticare e massacrare le nostre.
Quante volte avete sentito dire a qualcuno "io non sono di destra e nemmeno di sinistra, io sono per le cose giuste!". Si tratta di un problema di consapevolezza di sé stessi e del mondo, in cui il soggetto si pone al di sopra degli altri, definisce arbitrariamente cosa è bene e male e pretende che gli altri, al contrario di lui, siano invece impossibilitati perché marchiati da una schieramento di campo che divide diverse fazioni senza però delimitare quale fra le due abbia ragione, perché in fondo hanno torto entrambe. Insomma significa sostituire la causa con l'effetto e, per tornare alla letteratura, decidere che Sciascia non lo leggo perché siccome è di sinistra il suo libro sarà di sinistra, oppure lo leggo per lo stesso motivo, invece di considerare al contrario come il libro che Sciascia ha scritto può essere inquadrato come schierato a sinistra perché i suoi valori sono distintivi di una certa parte politica e filosofica. Se non riuscite a comprendere la differenza avete un serio problema...
Non troppo tempo fa si scatenò in rete una polemica perché una scrittrice affermava di scrivere fantascienza cattolica. Una nutrito gruppetto di filosofi atrofici decisero che si trattava di una baggianata. La fantascienza non può essere religiosa, non ha senso, perché intanto la letteratura non è di parte e perché poi tra l'altro la fantascienza chiede spazi mentali vasti e con la religione non c'entra nulla. Devo proprio farvi vedere col ditino dov'è la contraddizione? Devo proprio ricominciare da capo e spiegare di nuovo perché questa presa di posizione è più fallace e faziosa di quella di chi dichiara apertamente che ciò che scrive fa riferimento e propugna i valori di una ben precisa religione, di una ben definita visione del mondo e di una ben precisa filosofia di vita? Contrariamente all'opinione di quanti sbeffeggiarono la dichiarazione della scrittrice, l'apertura mentale di quest'ultima era ben superiore a quella dei suoi critici, non fosse altro perché era abbastanza consapevole della propria visione del mondo e di quelle altrui da essere in grado di dichiarare subito i valori che avrebbero caratterizzato i suoi scritti. E questo lo dico da ateaccio brutto e cattivo, che qualche racconto di fantascienza cattolica l'ha anche letto e lo ha trovato poco convincente, ma ciò non toglie che chiunque abbia il diritto di veicolare con l'arte i propri valori, ed è solo un pregio quello di esserne consapevole e addirittura dichiararlo in apertura.
Insomma, a conti fatti la letteratura di destra esiste come e quanto la letteratura di sinistra, come esiste un'arte religiosa e una atea, una visione del mondo così e una cosà! Il punto non è questo. Il punto è saper distinguere la causa dall'effetto, il pensiero dalla conseguenza. Il punto è ricordare che le classificazioni sono a posteriori, mai a priori.










giovedì 11 febbraio 2016

Tragico

Avevo deciso di passare in silenzio il duetto di commemorazioni dei genocidi, se non per la condivisione del passaggio di Primo Levi che ripropongo adesso.
E lo ripropongo adesso, con qualche ora di ritardo, in occasione del ricordo dei morti a causa delle persecuzioni Titine e Comuniste, perché continuo a trovare noioso, fastidioso e, non per ultimo, tragico il fatto che ci sia così tanta gente, spesso anche intelligente e titolata, che continua a compiere un processo mentale che trovo alquanto imbarazzante e, appunto, noioso e tragico.
Costoro decidono che una forza politica, un movimento, un governo, un gruppo in generale è cattivo in quanto per qualsivoglia questione usa la violenza contro individui o gruppi che, sempre secondo i giudici sopra menzionati, nulla hanno fatto per meritare questo. Dopo questo passaggio, effettivamente abbastanza logico e razionale, accade che i cattivi automaticamente sono considerati cattivi in ogni loro azione e le vittime buona a prescindere. Accade per cui che se i buoni compiono azioni simili, o addirittura uguali, non possono essere condannati perché sono, per definizione, buoni. Per cui le stesse azioni sono condannabili o meno a seconda di chi le compie, nonostante all'inizio fossero considerate la causa della definizione di bene o male. Si tratta di un percorso logico che mi lascia ogni volta stupefatto.
Ma del resto siamo figli di un'etica che risale al processo di Norimberga in cui gli imputati nazisti si cavavano d'impaccio dalle accuse dimostrando che le azioni di cui erano accusati erano state compiute anche dai "buoni" alleati e, quindi, per definizione non potevano essere crimini di guerra. Che è un'interpretazione della faccenda altrettanto perversa di quella di cui parlavo sopra.
E allora, senza andare oltre, lascio al parola a Primo Levi. Di solito si citano sempre i brevi versi che fanno da apertura a "Se Questo è un Uomo", io preferisco citare invece questo breve paragrafo della premessa, sempre allo stesso libro, che trovo di una lucidità disarmante e capaci di spiegare, in poche parole, l'essenza del problema. Sostituite la parola straniero con quello che volete, il senso è invariato. Resta chiaro oggi, come nello scorso millennio, per chi vuol vedere.

A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo.
(Primo Levi, Se Questo è un Uomo)

mercoledì 3 febbraio 2016

Ci sono venticinque...

foto di Vincenzo Cammalleri.


Ci sono venticinque che valgono ben più di un trenta e lode. Perché arrivano dopo un ventuno allo scritto, una notte insonne per l'influenza e la febbre che sale.
Ci sono venticinque che valgono più del numero per i complimenti del professore, perché più del voto conta un "sono soddisfatto perché si vede che hai studiato e perché sai ragionare e questo è molto importante".
E brucia non poterti chiamare per raccontarti tutto questo, per dirti che un altro scoglio è stato superato.
E sì, lo so, l'alcol andrebbe evitato con la febbre, ma mi piace pensare che adesso siamo in due a festeggiare. Perché dopo aver verbalizzato il mio primo pensiero è stato per te. Perché questo stupido venticinque oggi lo dedico a te.