mercoledì 29 ottobre 2014

Alla ricerca della verità

Lo spunto per l'intervento di oggi mi è stato offerto da un video, pubblicato da una amica, tratto da un episodio de "Le Iene". In questo video, come purtroppo in tutti i lavori di questa trasmissione orripilante, ho ritrovato il solito esempio di pessimo giornalismo e informazione distorta, ignorante e faziosa.
Si parla di alimentazione e il video la mena per dieci minuti sull'importanza dell'alimentazione per combattere le malattie. E che c'è di male? Nulla, se non fosse che l'argomento è ovviamente presentato col solito stile da palcoscenico, distorcendo la realtà e confondendo di conseguenza lo spettatore ignaro di certi meccanismi.
Chiariamo subito che quello che dicono "Le Iene" è ciò che vi direbbe qualsiasi buon medico: è importante una dieta sana, la portata principale deve essere composta di vegetali, non bisogna infatti esagerare con la carne e con gli zuccheri. Il tutto ovviamente va considerato in base all'attività quotidiana, un conto è fare lavoro d'ufficio, un altro tagliare la legna con l'ascia per 8 ore al giorno. Ma il punto, dicevo, non è tanto il messaggio diretto, quanto semmai quello indiretto del video. Si lascia intendere, con interviste montate ad arte e tono da anticospirazionisti, che l'alimentazione sia non solo utile a prevenire le malattie, ma anche sufficente a curarle.
Cerchiamo di fare chiarezza: se io mi nutro in maniera sana, evito di consumare zuccheri e grassi in quantità industriali, difficilmente svilupperò il diabete. Però, una volta che mi ritrovo a dover combattere una malattia che si è già manifestata, non basterà la semplice alimentazione a guarirmi. Certamente avrò un peggioramento se persevero in una dieta squilibrata, ma questo non vuol dire che il semplice mangiar bene potrà guarirmi.
In generale i programmi come "Le Iene" si inseriscono in un contesto che vede lo svilupparsi di un fertile mercato che fa gioco sull'ignoranza dei non addetti ai lavori, e a volte anche degli addetti ai lavori purtroppo, sulla paura, sul fascino del complotto e sul bisogno di trovare spiegazioni semplici e, soprattutto, un capro espiatorio su cui scaricare il peso di ciò che temiamo e non conosciamo. Si vuole far passare l'idea dell'esistenza di una sorta di cospirazione per la quale un numero spropositato di uomini cattivi ha deciso volutamente di nascondere i segreti per non ammalarsi, o per guarire, allo scopo di vendere farmaci e ingrassare il conto in banca.
Intendiamoci, per quanto sia deprecabile è piuttosto ovvio che ci siano degli interessi, anche forti, nel campo della medicina e della farmaceutica, basti pensare al fatto che la ricerca si orienta sempre più verso le malattie croniche, quelle cioè che ci si porta dietro per anni, piuttosto che verso le malattie acute, quelle che quando ti ammali o ti uccidono in breve tempo oppure guarisci, e questo perché semplicemente rende di più un farmaco che sei costretto a prendere per il resto della tua vita piuttosto che quello che prenderai per una settiamana. Del tutto assurdo è però pensare che migliaia di persone, perché di questo si tratterebbe, hanno tutte interesse a nascondervi la realtà. Basterebbe un singolo studio (fatto bene, non come quelli di Vannoni), a rivelare il complotto. Davvero pensate che fra migliaia di persone che sono pronte a uccidere per arricchirsi non ce ne sia una disposta a tradire la cupola allo scopo di diventare famosa e guadagnare ancora di più?
Ma non voglio dilungarmi sulle case farmaceutiche, perché il punto è un altro. La questione riguarda quello che crediamo e il perché ci crediamo.

Esiste un culto dell'ignoranza basato sull'idea, sbagliata, che democrazia sifnifichi che la tua ignoranza vale quanto la mia conoscenza.
Isaac Asimov

Viviamo in una società in cui l'impiegato che discute di politica ed economia al bar è convinto, seriamente, di saperne di più del professore alla Bocconi. Viviamo in una società in cui la madre del bambino malato è convinta di saperne di più del medico. Intendiamoci, la malafede esiste e non è sempre facile, o nemmeno possibile, distinguere la realtà dall'inganno. Ma ci si può almeno provare. Di solito i ciarlatani vi promettono guarigioni istantanee, percorsi semplici e senza conseguenze collaterali, vi promettono tutto subito accusando magari gli altri, la medicina ufficiale, di malafede. Li distinguete così perché, forse non ve ne siete accorti, quel che è gratis, senza fatica cioè, vale quanto lo paghi... niente!

Tutto ciò che è gratis vale quello che lo paghi.
R. A. Heinlein
Quando vi recate da un medico, se è un bravo medico, non vi dirà "prendtiti questa e passa tutto", ma "questa ti aiuta, ma attento perché le tue abitudini ti stanno espondendo a una serie di rischi ben precisi". Prestate attenzione, magari ricorderete che il medico ve l'aveva detto di smettere di fumare e mangiare meno carne, evitare i dolci e aumentare le verdure. Ma, banalmente, voi avete ignorato i consigli perché è più semplice mandar giù la pillola piuttosto che smettere di fumare o rinunciare al dolce. E poi per la palestra proprio non abbiamo tempo!

La preghiera è così: 
“Proteggimi dal sapere quel che non ho bisogno di sapere. 
Proteggimi anche dal sapere che bisognerebbe sapere cose che non so. 
Proteggimi dal sapere che ho deciso di non sapere le cose che ho deciso di non sapere. Amen”. 
Ecco qua. In ogni caso, è la stessa preghiera che reciti in silenzio dentro di te, per cui tanto vale dirla apertamente. 
(D.N.Adams)

Ci affidiamo alla cospirazione per scaricarci del peso della nostra ignoranza. Essendo consapevoli di non sapere ciò che è necessario per discriminare, siamo spinti a sostenere l'idea che in realtà si tratta di una conoscenza falsa, che quindi non ci serve, e che ci sia in realtà qualcuno che ci nasconde la verità. Questo è un impulso naturale, che abbiamo tutti, e non è una colpa caderne vittima. Diventa una colpa quando ne diventiamo schiavi, quando razionalmente ci convinciamo che è veramente così, che non ci serve informarci, studiare, per avere una vera opinione.

La non conoscenza non da nessun diritto, né a credere né a non credere, né ad avere fiducia né a non averne, e nessuna libertà.
Umberto Veronesi.

Imparare a distinguere criticamente non è semplice, ma ci si può provare. Non sempre andrà bene, e ogni tanto finiremo nelle mani di farabutti in camice bianco. Ma siete veramente sicuri che un santone in giacca e cravatta che spaccia il siero miracoloso (Vannoni) sia proprio meglio?



Link Utili:

Marco Cattaneo vi spiega perché servono le regole






Cosa abbiamo rischiato a causa di Vannoni e Stamina

Medbunker e la dieta alcalina

Bressanini cita Medbunker

giovedì 23 ottobre 2014

Dimenticare...

Ed eccomi di nuovo a scrivere, di nuovo a riempire questo spazio con poche righe come a esorcizzare il vuoto degli spazi tra cose e persone.
Mi capita continuamente di aver qualcosa da dire, ma non è poi così semplice tradurre quel bisogno interiore in frasi e parole adatte alla forma scritta. Oggi il mio scrivere sarà finalizzato a introdurvi una questione, una domanda di quelle insidiose, di quelle a cui, spesso, è difficile capire veramente quale risposta si desidera dare.
Tante volte nella nostra vita abbiamo vissuto momenti brutti, tristi, tragici o magari semplicemente imbarazzanti. Credo sia umano a volte desiderare l'oblio della memoria, sperare con tutto il cuore che un giorno si potrà dimenticare il dolore, la sofferenza, l'immagine di quel qualcosa che a volte ritorna nei nostri incubi. E se per quanto riguarda le esperienze imbarazzanti in fondo è solo una questione minore, vi sono dolori che fanno ancora più male quando vengono rivissuti, quando ci attraversano nuovamente in ogni azione, in ogni immagine, profumo o luogo che ci riporta alla mente un evento doloroso. Penso alla morte di una persona cara, a un evento che ha segnato in negativo la nostra vita, a un fallimento che ci ha indirizzati verso una strada in salita, a una forte delusione.
Dimentica, si dice, dimenticherai e passerà. Ma è veramente così? Davvero dimenticare è la soluzione, o anche solo un aiuto? O forse il dimenticare diventa solo un modo per fare quello che è "esci senza salvare" nel mondo dei videogiochi? Il dimenticare non è un tentativo di rinunciare a una linea vissuta per tornare indietro a ciò che eravamo prima di fare quella scelta o di subire quell'evento che il fato ci ha posto sul cammino? In questo caso però dimenticare non significa rinunciare a noi stessi? Desiderare l'oblio della memoria non è in fondo un po' il desiderare di essere un'altra persona? In fondo siamo ciò che siamo perché le nostre esperienze ci hanno reso tali. Siamo la risultante di una complessa interazione tra genetica e ambiente, nature e nurture, natura e allevamento. E quindi rinunciare ai ricordi, alle ferite e alle cicatrici non è in fondo rinunciare a qualcosa di noi?

 RICORDARE: Dal latino re-cordis, ripassare dalle parti del cuore.
 Eduardo Galeano

Forse è per questo che è così difficile dimenticare, forse è per questo che a volte ci si aggrappa ai ricordi, per quanto siano dolorosi, senza volerli lasciare andare. Siamo individui dotati della capacità di fissare i ricordi, di costruirci una sorta di diario personale a cui attingere per tracciare la propria storia. Ogni volta che dimentichiamo perdiamo qualcosa, ci lasciamo indietro un pezzo di vita che ha fatto di noi ciò che siamo. E non c'è nulla di più doloroso del perdere il proprio io, niente di più terrificante dell'accorgersi che ciò che siamo sta lentamente scivolando via, come purtroppo sanno bene coloro i quali hanno dovuto gestire un parente, un genitore, al quale l'Alzheimer ha portato via memoria, la mente, l'identità.
Il dolore per ciò che si è dimenticato non è sempre avvertibile quando si è già dimenticato, perché banalmente non si conserva il ricordo di quel qualcosa che non esiste più, al contrario è il processo di rimozione, l'attimo in cui ci accorgiamo che stiamo perdendo qualcosa, che stiamo lentamente scordando una parte della nostra vita, è quello il momento in cui con orrore ci accorgiamo che stiamo piano piano morendo.

 Ricordare e dimenticare sono parte dello stesso processo mentale. Scrivere un dettaglio di un evento è non scriverne un altro (a meno di continuare a scrivere all'infinito). Ricordare una cosa è lasciare scivolarne un'altra nell'oblio (a meno di continuare a rievocare all'infinito). 
Jonathan Safran Foer

E se è fisiologico il sostituire lentamente l'io attuale con quello che verrà, in fondo è un semplice percorso di evoluzione e trasformazione idetificabile con la vita stessa, dimenticare significa comunque per l'individuo morire, pur rinascendo allo stesso tempo nel momento in cui al processo di rimozione si accompagna la fissazione di nuove esperienze.
Ma adesso veniamo al dunque, vi pongo la domanda:Avete mai desiderato dimenticare? E al contrario avete mai desiderato non dimenticare? C'è qualcosa che vorreste gettare via, o qualcosa, qualcuno, che vorreste avere ancora con voi?.
Vi lascio a una citazione tratta da un bellissimo racconto letto durante un viaggio in Austria, oggi come dieci anni fa continua a sembrarmi una sorta di monito.

Per quanto siano dolorosi i ricordi, dimenticare significa morire. E, nella misura di tutte le cose, nulla che sia davvero vivo vuole davvero morire.Richard Chwedyk, La Misura di Tutte le Cose.

  Se vorrete condividere i vostri pensieri sarete i benvenuti. Ci vediamo nei commenti.

sabato 18 ottobre 2014

Una strana normalità.

Oggi lo spunto per questo post me lo offre mia sorella che, tornando dal reparto, mi racconta di un padre preoccupato per il proprio bambino. Lui e la moglie attendono il piccolo che lei porta in grembo e sono, giustamente, preoccupati perché a quanto pare il bambino è portatore di un'anomalia cromosomica. Per fortuna sembra trattarsi di una di quelle con poche, a volte nulle, conseguenze per il bambino (o almeno così riferisce il medico). Il padre però giustamente fatica a convincersi e dice "sa, uno vorrebbe sempre che fosse normale", il medico risponde che il bambino avrebbe potuto essere sanissimo geneticamente e poi uscire fuori con qualche altro problema.
Io vorrei concentrarmi su una singola parola di quello che avete letto fin'ora: normale.

normalità s. f. :
Carattere, condizione di ciò che è o si ritiene normale, cioè regolare e consueto, non eccezionale o casuale o patologico.

Tra gli studi e le esperienze in reparto è facile capire quanto questa parola sia del tutto priva di un significato che vada al di là del mero dato statistico. Se si vuole trovare un senso intrinseco al termine "normale" si finirà, prima o poi, per accorgersi che si è tralasciato qualcosa di imporante.


Visto da vicino nessuno è normale.
Franco Basaglia

Senza dover per forza scendere nel patologico ritengo che ciascuno di noi abbia esperienza di questo concetto. Quante persone avete conosciuto che al primo impatto vi sembravano normalissime, comuni come tante altre, e che invece poi una volta conosciute meglio hanno mostrato dei lati della propria personalità che si discostano notevolmente da quello che voi stessi ritenete normale?
Semplicemente il concetto di normalità è un banale espediente statistico che serve da riferimento per le esperienze quotidiane. Una necessità da usare come metro di paragone nella vita di tutti i giorni.
Il concetto di normale va bene per l'ingrosso, ma quando abbiamo di fronte una persona dobbiamo pensare al dettaglio e ricordarci che quella persona, come noi del resto, ha un vissuto particolare che è suo e che ha formato un individuo perciso e irriducibile a una forma prestabilità o ad un ideale di normalità di qualunque genere.
 Accettato questo è facile capire come questo concetto di normalità, che non è certo un invenzione moderna, sia invece oggi una sorta di spada di Damocle sulla testa di ognuno di noi. Il mito della normalità diventa a volte un ideale a cui aspirare, tanto da farci dimenticare in soldoni che normale è spesso sinonimo di mediocre. E per assurdo ci ritroviamo a lottare disperatamente per far rientrare l'idea che gli altri hanno di noi stessi nei due concetti di normale, così da essere accettati, e speciale, così da essere ammirati e invidiati.
A volte basterebbe fermarsi un attimo e guardare meglio noi stessi e ciò che ci circonda per renderci conto di come quelli che dovrebbero essere dei semplici concetti statistici finiscono per determinare le nostre azioni, i nostri sogni e le nostre ambizioni, in breve finiscono per governare la nostra vita. E probabilmente contribuiscono in una qualche maniera a renderci insoddisfatti, in un continuo paragonare noi stessi, o i nostri figli, o il nostro partner, a un qualche ideale che è però a conti fatti inesistente.

Vi avevo avvisati, sarei tornato a scrivere. E se ho scelto il capolavoro di Pirandello come titolo per questo blog è perché mi arrogo il diritto di cambiare ed essere in ogni momento una persona diversa, ma in ogni momento indistinguibile da chiunque altro. Proprio come voi.

Il serpente che non può cambiar pelle muore. Lo stesso accade agli spiriti ai quali s’impedisce di cambiare opinione: cessano di essere spiriti.
Friedrich Wilhelm Nietzsche
Ringrazio il buon vecchio Nietzsche per avermi prestato queste meravigliose parole che ci dicono come in realtà ciasciuno di noi è una persona in divenire, che si evolve in ogni momento. Siamo insomma la combinazione di nature and nurture, cioè di natura e allevamento, ambiente, con buona pace dei dicotomisti e di quelli che speravano di identificare l'essenza umana in una sola delle due componenti. Ciò che smette di evolversi muore, oppure ciò che muore smette di evolversi. O forse entrambe le cose, decidete voi.

La facoltà d'illudervi che la realtà d'oggi sia la sola vera, se da un canto ci sostiene, dall'altro ci precipita in un vuoto senza fine, perché la realtà d'oggi è destinata a scoprire l'illusione domani. E la vita non conclude. Non può concludere. Se domani conclude, è finita.
Luigi Pirandello
 E davvero non saprei cos'altro aggiungere. Posso solo ringraziarvi per essere arrivati fino in fondo, e aver avuto la pazienza di leggere questo mio primo intervento che inaugura il nuovo blog. Grazie a tutti, ci si vede nei commenti.

giovedì 16 ottobre 2014

A volte ritornano

Da tanto ormai desideravo ricominciare a scrivere. Questo blog nasce innanzitutto da questa esigenza.
Alcuni di voi ricorderanno le mie (ormai vecchie) puntate. In questo blog troverete a volte qualcosa di simile, ma più spesso troverete altro. 
Non so di preciso di cosa riempirò questo spazio, mi farò guidare dal momento, da ciò che la tangente dei miei pensieri consegnerà alle mie dita che battono su questa tastiera.
Perché tornare a scrivere? Scrivere è un'esigenza, è un tentativo di comunicare i propri pensieri, le proprie emozioni, le proprie passioni. Rileggendo il mio vecchio blog mi sono emozionato nel ritrovare una parte di me che avevo a tratti dimenticato, ma ancora di più mi sono emozionato nel rileggere i commenti. Amici che adesso non sento più, amici con cui ho litigato, semplici conoscenti che passavano a leggere e condividere il proprio pensiero, amici che ancora oggi fanno parte della mia vita. Tutti hanno lasciato qualcosa e, nel rileggere a distanza di anni i segni del loro passaggio, riscopro qualcosa che credo sia bello conservare.
Scrivere è anche un modo di rileggersi nel futuro, permette di vedere chi eravamo e tracciare il percorso del nostro cambiamento. Nel rileggermi mi sono stupito di quanto io sia cambiato, di quante cose non condivido di quel Vincenzo e di quali invece mi sembrano sempre uguali.
E allora scriverò. Scriverò di qualunque cosa mi passi per la testa. Lo spunto potrà essere un pensiero, un attimo fugace, un evento qualsiasi che mi sia accaduto o che abbia solo impresso la mia retina capitandomi per caso davanti agli occhi. Scriverò su ispirazione di un libro letto o di un film visto, scriverò di ciò che mi affascina e a volte di ciò che mi inquieta. Scriverò di ciò che potrei vedere in reparto o di ciò che mi stupirà nel percorso della mia formazione. Scriverò seguendo l'istinto, a volte la rabbia e a volte la comprensione.
Spero, con tutto il cuore, di riuscire a lasciare un segno. Senza alcuna pretesa scriverò, ringraziando anticipatamente chiunque vorrà donarmi il suo tempo per mettersi comodo e leggere i miei sproloqui.

A presto.