
Ormai da qualche tempo ritorna ciclicamente il dibattito sulla contrapposizione tra fantascienza positiva (o utopica) e fantascienza negativa, (o distopica). Su facebook, all'interno del gruppo di appassionati
Romanzi di Fantascienza, la diatriba è spuntata fuori nelle discussioni più insospettabili e ha scaldato gli animi tra chi afferma di non poterne più di toni grigi e civiltà decadenti e chi al contrario asserisce che descrivere società positive e colme di speranza sia al momento anacronistico e ingenuo. Il dibattito ha presto oltrepassato i limiti della ristretta cerchia degli appassionati, attirando l'attenzione e il contributo di diversi scrittori italiani, alcuni dei quali chiamati in causa per via dei loro romanzi e racconti.
Il numero
73 dell'ottima rivista
Robot presenta un ottimo saggio di
Marco Passarello che offre una panoramica più internazionale alla questione. Lo spunto, e non poteva essere altrimenti, è il progetto Hieroglyph. Nato da un'idea di Neal Stephenson, Hieroglyph raccoglie i contributi narrativi di numerosi scrittori affermati. Il motore di questa iniziativa è l'idea secondo la quale l'eccessivo pessimismo nella fantascienza degli ultimi decenni avrebbe reso asfittica la nostra capacità di reagire, di immaginare un mondo migliore. Ecco perché la necessità di un ritorno alla fantascienza solare, sperando di essere uno stimolo, una speranza, un ferma presa di posizione contro una deriva oscura che, lungi dal descrivere il mondo per com'è nei fatti, si sta trasformando, secondo le parole di Robert J. Sawyer, in una profezia che si autoavvera.
Ovviamente Passarello fa notare che un nutrito gruppo di autori ha manifestato il proprio dissenso nei confronti di una iniziativa che sembra voler ignorare i reali problemi della società globale e ingenuamente crede di poter ribaltare tutto chiudendo gli occhi e sognando eroi e mirabolanti tecnologie che saneranno le cicatrici dell'umanità. Notevole, e tagliente, è il contributo di Richard Morgan che ritiene l'iniziativa
basata su una visione castroficamente cieca di ciò che oggi accade nel mondo e di ciò che probabilmente ci aspetta dietro l'angolo.
Anche Dario Tonani, che più volte ha partecipato alle discussioni sul tema, aveva già espresso la sua perplessità di fronte a questa iniziativa. Tonani afferma di utilizzare la fantascienza come mezzo per ammonire:
di questo passo dove andremo a finire? Trovo che la distopia sia la più produttiva e propulsiva delle provocazioni....
Interessanti sono anche i contributi di Tullio Avoledo, Valerio Evangelisti e Piero Schiavo Campo, come anche quello di Giovanni De Matteo che conclude ricordando che ogni distopia racchiude in sé il seme di un'utopia.
L'articolo di Passarello, che di fatto sembra dare voce a quanti considerano ingenua l'iniziativa di Stephenson, conclude cercando di mediare tra le due posizioni, sottolineando pregi e difetti di entrambe. Senza però risparmiare una stoccata agli scrittori della fantascienza più distopica che commetterebbero l'errore di proporre mondi scontati e uniformemente brutali e negativi finendo per provocare un
ottundimento delle coscienze invece che un loro risveglio. Il rischio è di far credere che non ci sia niente da fare e che il lupo sia invincibile. Il male di cui soffre la società odierna è proprio la pretesa mancanza di alternative. Mentre è proprio di futuri alternativi che vive la fantascienza.
Come avrete capito si tratta di un saggio da leggere avidamente, ricco di spunti e opinioni che meritano ben più considerazione di questo mio piccolo blog, il mio consiglio a quanti ancora non l'avessero fatto è di andare sul sito della rivista Robot e procurarvi subito una copia di questo numero (il 73) o magari di abbonarvi direttamente.
Tornando a noi, ho voluto grassettare la conclusione di Passarello perché rispecchia pienamente la mia opinione personale e di cui avevo già parlato
in questo intervento prendendo spunto dalle parole di Ursula K. Le Guin (le quali non certo a caso sono scelte per la citazione in quarta di copertina di questo numero 73 di Robot).
[...] avremo bisogno delle voci di scrittori capaci di vedere alternative al
modo in cui viviamo ora, capaci di vedere, al di là di una società
stretta dalla paura e dall'ossessione tecnologica, altri modi di essere,
e immaginare persino nuove basi per la speranza. Abbiamo bisogno di
scrittori che si ricordino la libertà. Poeti, visionari, realisti di una
realtà più grande.[...]
[...]I libri non sono merce. Gli scopi del mercato sono spesso in conflitto
con gli scopi dell'arte. Viviamo nel capitalismo, e il suo potere sembra
assoluto… ma attenzione, lo sembrava anche il diritto divino dei re.
Gli esseri umani possono resistere e sfidare ogni potere umano. La
resistenza spesso comincia con l'arte, e ancora più spesso con la nostra
arte, l'arte delle parole.
Queste sono le parole della geniale scrittrice che di mondi alternativi è sicuramente un'esperta.
La mia opinione, personalissima e discutibilissima, è che la distopia occupa un ruolo importante e insostibuile in campo lettearario, condivido l'idea di De Matteo secondo cui ogni distopia contiene il seme di un'utopia e anzi la ribalto, sostenendo che ogni utopia contiene al suo interno il seme di una distopia, in un certo senso l'utopia di un uomo è la distopia di un altro.
L'Utopia di Platone è più terrificante di
quella di 1984 di Orwell, perché Platone auspica che si realizzi quel
che Orwell teme possa avvenire.
Arthur Koestler

Trovo condivisibili le critiche mosse all'idea dietro Hieroglyph (che comunque spero possa essere tradotto in Italia), a partire dall'accusa di una certa ingenuità nell'idea che ignorando i problemi dell'oggi possiamo automaticamente realizzare un futuro migliore. Ogni teconologia, ogni scoperta, ogni verità, porta con se un seme che può essere usato bene o male, la realtà è tutta lì.
Non posso quindi che condividere l'opinione espressa da Passarello sull'assenza, in questo mare di oneste e condivisibili provocazioni distopiche, di una reale proposta alternativa. Pur ricordando che un opera si giudica per ciò che contiene, e non per ciò che si vorrebbe che contenesse, è indubbio che si senta la mancanza di una fantascienza, di una letteratura, che oltre ad ammonire sia anche in grado di regalare sogni lucidi, reali, che offra proposte concrete, magari sbagliando, ma almeno provando a ipotizzare un futuro che sia in grado di superare le difficoltà del presente.
Ha ragione quindi Sawyer e ha ragione ancora la Le Guin, che nonostante i
suoi ottantacinque anni ci fa sembrare tutti dei vecchi moribondi con il nostro
cupo e incessante pessimismo e la nostra incapacità di reagire.
Il sogno dell'ingegnere tedesco (Von
Braun, sognava una missione su Marte) doveva realizzarsi nel 1980.
Invece è rimasto incompiuto, si dice per ragioni economiche. Eppure
la missione militare americana in Iraq è costata trentacinque volte
quello che sarebbe costata una missione verso Marte con la
costruzione di una cupola sul pianeta rosso. Non sono i soldi che
mancano. È il profilo culturale che si è abbassato, è la capacità
di sognare che è diventata asfittica. Ma la storia è così, segnata
da corsi e ricorsi: se ci crediamo, il grande viaggio può
ricominciare.
Paolo Aresi, robot 66 pag. 139
Le parole di Aresi, manco a farlo apposta prese anche loro da un Robot vecchio di qualche anno, ci ricordano che senza la capacità di sognare alternative valide e credibili siamo destinati a cadere vittime delle nostre stesse paure.
E allora forse è ingenuo non solo chi crede di cambiare il mondo solo sognando, ma anche chi non sa più immaginare una realtà diversa.
«Sono le scelte che facciamo, Harry, che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità.»
Albus Silente - J. K. Rowling