domenica 25 gennaio 2015

La Corsa di Miguel. Never give up

Ci sono sfide che arrivano quasi per gioco, ti iscrivi in palestra perché a 24 anni avere il fiatone per un piano di scale è qualcosa che ti fa seriamente preoccupare, cominci per gioco giusto a fare quella mezz'oretta sul tappeto, quattro addominali e due esercizi due giusto per far qualcosa. Poi scopri i corsi, l'aerobica mescolata ai pesi, la fit boxe, il circuito, il funzionale. Insomma cominci a prendere sul serio l'impegno. E intanto c'è chi ti spinge a provare la corsa, ti fa quasi violenza psicologica tra un piegamento e trenta burpees. Così capita che a giugno dello scorso anno aprono la benedetta pista ciclabile che va da Monte Mario a Valle Aurelia, 5km ad andare e altrettanti a tornare. Lo spazio perfetto per correre nel tardo pomeriggio col sole romano che si abbassa tra i colli, lontano dall'afa della palestra e con un panorama decisamente suggestivo.
Dopo la Spartan Sprint dello scorso anno, 5km e diversi ostacoli, decido di dedicarmi alla corsa e tra Giugno e Luglio macino chilometri con le cuffie nelle orecchie e i podcast a farmi compagnia. Sono quasi convinto di continuare anche ad Agosto, quando il ginocchio due giorni prima della partenza mi ricorda che forse ho esagerato. In poche parole ginocchio gonfio per 3 settimane, riposo assoluto e massa muscolare che ritorna quasi ai minimi storici. Insomma, stop per tutta l'estate. Ho ripreso a settembre e a inizio novembre sono riuscito a toccare quota 15 km, poi un po' la noia e un po' la pigrizia ho rallentato con gli allenamenti.
Oggi, 25 Gennaio 2014, La Corsa di Miguel. La mia prima vera gara sui 10 km, una distanza abituale ma comunque impegnativa, che viste le colazioni a base di pane e nutella delle vacanze natalizie pensavo di portare a casa con un tempo intorno all'ora e dieci minuti. Invece, soprattutto grazie a una gestione perfetta e alla spinta del settimo chilometro, alla fine è arrivato un tempo di un'ora e quattro minuti che per chi è abituato a correre seriamente è robetta, per me che tre anni fa avevo il fiatone dopo un piano di scale è già un bel risultato.
Un ringraziamento enorme va a Flavio, compagno di tanti allenamenti in palestra, che sicuramente è stato un grande stimolo in questa nuova avventura. Ringrazio anche Luca, neofita della corsa e anche lui compagno di tante fatiche del martedì e del giovedì.
Insomma, una bella giornata di sport, nonostante il deficiente che sullo scooterone si lamenta per le quattro strade a traffico ridotto per la mattinata riferendosi ai cinquemila partecipanti della corsa con le parole "sti quattro stronzi" (sarai bello tu). Una bella giornata di sport con la mamma che corre i quattro chilometri spingendo il figlio con il passeggino e la coppia che spinge il nonno sulla carrozzina. E soprattutto il signore superato al chilometro sei  che portava sulle spalle la scritta "novembre 2013 un donatore mi ha ridato la vita, 25 gennaio 2015 riparto dalla Corsa di Miguel".
Una bella giornata di sport, in compagnia di amici e compagni di allenamento fantastici con cui spero di condividere molte altre esperienze.
E poi c'è un desiderio, una sfida, che si chiama Roma-Ostia, la mezza maratona, 21 km di sudore da portare a casa il primo marzo. Un pensiero fisso da Giugno, una vera sfida, seria e impegnativa.
U surci ci dissi a nuci: dammi tempu ca ti perciu.
Per i non siciliani: il topo disse alla noce" riuscirò ad aprirti, è solo questione di tempo".

                    

lunedì 19 gennaio 2015

Dell'ottimismo e del pessimismo. E del sogno di una realtà diversa.

   Ormai da qualche tempo ritorna ciclicamente il dibattito sulla contrapposizione tra fantascienza positiva (o utopica) e fantascienza negativa, (o distopica). Su facebook, all'interno del gruppo di appassionati Romanzi di Fantascienza, la diatriba è spuntata fuori nelle discussioni più insospettabili e ha scaldato gli animi tra chi afferma di non poterne più di toni grigi e civiltà decadenti e chi al contrario asserisce che descrivere società positive e colme di speranza sia al momento anacronistico e ingenuo. Il dibattito ha presto oltrepassato i limiti della ristretta cerchia degli appassionati, attirando l'attenzione e il contributo di diversi scrittori italiani, alcuni dei quali chiamati in causa per via dei loro romanzi e racconti.
   Il numero 73 dell'ottima rivista Robot presenta un ottimo saggio di Marco Passarello che offre una panoramica più internazionale alla questione. Lo spunto, e non poteva essere altrimenti, è il progetto Hieroglyph. Nato da un'idea di Neal Stephenson, Hieroglyph raccoglie i contributi narrativi di numerosi scrittori affermati. Il motore di questa iniziativa è l'idea secondo la quale l'eccessivo pessimismo nella fantascienza degli ultimi decenni avrebbe reso asfittica la nostra capacità di reagire, di immaginare un mondo migliore. Ecco perché la necessità di un ritorno alla fantascienza solare, sperando di essere uno stimolo, una speranza, un ferma presa di posizione contro una deriva oscura che, lungi dal descrivere il mondo per com'è nei fatti, si sta trasformando, secondo le parole di Robert J. Sawyer, in una profezia che si autoavvera.
   Ovviamente Passarello fa notare che un nutrito gruppo di autori ha manifestato il proprio dissenso nei confronti di una iniziativa che sembra voler ignorare i reali problemi della società globale e ingenuamente crede di poter ribaltare tutto chiudendo gli occhi e sognando eroi e mirabolanti tecnologie che saneranno le cicatrici dell'umanità. Notevole, e tagliente, è il contributo di Richard Morgan che ritiene l'iniziativa basata su una visione castroficamente cieca di ciò che oggi accade nel mondo e di ciò che probabilmente ci aspetta dietro l'angolo.
   Anche Dario Tonani, che più  volte ha partecipato alle discussioni sul tema, aveva già espresso la sua perplessità di fronte a questa iniziativa. Tonani afferma di utilizzare la fantascienza come mezzo per ammonire: di questo passo dove andremo a finire? Trovo che la distopia sia la più produttiva e propulsiva delle provocazioni....
   Interessanti sono anche i contributi di Tullio Avoledo, Valerio Evangelisti e Piero Schiavo Campo, come anche quello di Giovanni De Matteo che conclude ricordando che ogni distopia racchiude in sé il seme di un'utopia.
   L'articolo di Passarello, che di fatto sembra dare voce a quanti considerano ingenua l'iniziativa di Stephenson, conclude cercando di mediare tra le due posizioni, sottolineando pregi e difetti di entrambe. Senza però risparmiare una stoccata agli scrittori della fantascienza più distopica che commetterebbero l'errore di proporre mondi scontati e uniformemente brutali e negativi finendo per provocare un ottundimento delle coscienze invece che un loro risveglio. Il rischio è di far credere che non ci sia niente da fare e che il lupo sia invincibile. Il male di cui soffre la società odierna è proprio la pretesa mancanza di alternative. Mentre è proprio di futuri alternativi che vive la fantascienza.
   Come avrete capito si tratta di un saggio da leggere avidamente, ricco di spunti e opinioni che meritano ben più considerazione di questo mio piccolo blog, il mio consiglio a quanti ancora non l'avessero fatto è di andare sul sito della rivista Robot e procurarvi subito una copia di questo numero (il 73) o magari di abbonarvi direttamente.
   Tornando a noi, ho voluto grassettare la conclusione di Passarello perché rispecchia pienamente la mia opinione personale e di cui avevo già parlato in questo intervento prendendo spunto dalle parole di Ursula K. Le Guin (le quali non certo a caso sono scelte per la citazione in quarta di copertina di questo numero 73 di Robot).
[...] avremo bisogno delle voci di scrittori capaci di vedere alternative al modo in cui viviamo ora, capaci di vedere, al di là di una società stretta dalla paura e dall'ossessione tecnologica, altri modi di essere, e immaginare persino nuove basi per la speranza. Abbiamo bisogno di scrittori che si ricordino la libertà. Poeti, visionari, realisti di una realtà più grande.[...]

[...]I libri non sono merce. Gli scopi del mercato sono spesso in conflitto con gli scopi dell'arte. Viviamo nel capitalismo, e il suo potere sembra assoluto… ma attenzione, lo sembrava anche il diritto divino dei re. Gli esseri umani possono resistere e sfidare ogni potere umano. La resistenza spesso comincia con l'arte, e ancora più spesso con la nostra arte, l'arte delle parole. 

   Queste sono le parole della geniale scrittrice che di mondi alternativi è sicuramente un'esperta.
   La mia opinione, personalissima e discutibilissima, è che la distopia occupa un ruolo importante e insostibuile in campo lettearario, condivido l'idea di De Matteo secondo cui ogni distopia contiene il seme di un'utopia e anzi la ribalto, sostenendo  che ogni utopia contiene al suo interno il seme di una distopia, in un certo senso l'utopia di un uomo è la distopia di un altro.
L'Utopia di Platone è più terrificante di quella di 1984 di Orwell, perché Platone auspica che si realizzi quel che Orwell teme possa avvenire.
Arthur Koestler
   Trovo condivisibili le critiche mosse all'idea dietro Hieroglyph (che comunque spero possa essere tradotto in Italia), a partire dall'accusa di una certa ingenuità nell'idea che ignorando i problemi dell'oggi possiamo automaticamente realizzare un futuro migliore. Ogni teconologia, ogni scoperta, ogni verità, porta con se un seme che può essere usato bene o male, la realtà è tutta lì.
   Non posso quindi che condividere l'opinione espressa da Passarello sull'assenza, in questo mare di oneste e condivisibili provocazioni distopiche, di una reale proposta alternativa. Pur ricordando che un opera si giudica per ciò che contiene, e non per ciò che si vorrebbe che contenesse, è indubbio che si senta la mancanza di una fantascienza, di una letteratura, che oltre ad ammonire sia anche in grado di regalare sogni lucidi, reali, che offra proposte concrete, magari sbagliando, ma almeno provando a ipotizzare un futuro che sia in grado di superare le difficoltà del presente.
   Ha ragione quindi Sawyer e ha ragione ancora la Le Guin, che nonostante i suoi ottantacinque anni ci fa sembrare tutti dei vecchi moribondi con il nostro cupo e incessante pessimismo e la nostra incapacità di reagire. 
Il sogno dell'ingegnere tedesco (Von Braun, sognava una missione su Marte) doveva realizzarsi nel 1980. Invece è rimasto incompiuto, si dice per ragioni economiche. Eppure la missione militare americana in Iraq è costata trentacinque volte quello che sarebbe costata una missione verso Marte con la costruzione di una cupola sul pianeta rosso. Non sono i soldi che mancano. È il profilo culturale che si è abbassato, è la capacità di sognare che è diventata asfittica. Ma la storia è così, segnata da corsi e ricorsi: se ci crediamo, il grande viaggio può ricominciare.

Paolo Aresi, robot 66 pag. 139
   Le parole di Aresi, manco a farlo apposta prese anche loro da un Robot vecchio di qualche anno, ci ricordano che senza la capacità di sognare alternative valide e credibili siamo destinati a cadere vittime delle nostre stesse paure. E allora forse è ingenuo  non solo chi crede di cambiare il mondo solo sognando, ma anche chi non sa più immaginare una realtà diversa.


«Sono le scelte che facciamo, Harry, che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità.»
Albus Silente - J. K. Rowling


venerdì 9 gennaio 2015

L'elogio dell'idiozia

Inutile cercare spiegazioni nella malvagità quando la stupidità è più che sufficiente a spiegare.
Non sono un pacifista, anzi considero tale parola una puttanata. Abbiate pazienza, se qualcuno mi comincia a prendere a botte che dovrei fare?Porgergli l'altra guancia? No, grazie, vorrei campare.
Allo stesso modo trovo ridicole certe esternazioni del tipo "avevano ragione gli americane a torturarli" oppure "bisognerebbe sterminarli tutti". Innanzitutto perché non fanno distinzioni, perché sarebbe come se quando Riina ordinava la morte di Falcone e Borsellino gli Italiani avessero risposto bombardando tutta la Sicilia. O come se quando uno per strada vi aggredisce voi per vendetta picchiate e uccidete tutta la sua famiglia.
Non voglio dilungarmi, perché c'è troppo da dire e forse ben poco di tutto questo certi minorati mentali possono capire. Mi preoccupa il fatto che purtroppo di questi minorati mentali ce ne siano da entrambe le parti e quindi sono spaventato delle possibili conseguenze. Se potessi espatriare su Alfa Centauri o su Hyperion lo farei volentieri, la compagnia di qualunque ameboide sottosviluppato sarebbe più gradevole di voi stupide scimmie urlanti che fate così scarso e pietoso uso dei neuroni che l'evoluzione vi ha concesso.

Gli stessi che inneggiano alla libertà di espressione sono quelli che se provo a offendere il loro dio mi augurano la morte allo scopo di farmi capire cosa vuol dire essere con dio. Sapete qual'è la differenza fra voi e gli attentatori di Parigi? Loro hanno le palle, voi siete dei bambini viziati cresciuti nella bambagia. Il mio non è un complimento nei confronti degli attentatori, non è un'offesa nei vostri confronti poiché del resto è un dato di fatto e io sono esattamente come voi. La differenza è semplicemente che ci sono persone che a questo mondo fanno seguire i fatti alle loro parole. A volte è un bene, altre volte come in questo caso sarebbe stato meglio il contrario. 
Magari ve ne siete già dimenticati ma neppure tanto tempo fa un fondamentalista cristiano ha ucciso un centinaio di suoi connazionali in Norvegia. Sarebbe forse ora di fare una crociata per liberare l'Europa dai cristiani? 
Forse, invece di copiare la Fallaci che santificava gli americani, bisognerebbe spiegare all'Onu e alla Nato che la libertà non è una cosa che si esporta liberando i mercati per le aziende amiche. Così magari potremmo provare a immaginare che per gli Indiani può essere terrorismo la costruzione di industrie chimiche di proprietà occidentale che però si trovano sul suolo indiano perché in Europa o in America costerebbero molto di più dovendo rispettare canoni di sicurezza ben più rigidi. Forse vi aiuterebbe sapere che è terrorismo fare spallucce e impedire a uno stato di condannare adeguatamente chi ha ucciso sedicimila persone perché altrimenti sarebbe un brutto segnale nei confronti degli imprenditori stranieri che vengono a investire i loro capitali. Forse aiuterebbe a farsi un'idea di cosa sia il mondo sapere che è terrorismo anche quando Israele annuncia bombardamenti a tappeto sui villaggi palestinesi ordinando agli abitanti l'evacuazione, allo scopo di considerare poi quelle aree come terra di nessuno e autorizzare nuovi insediamenti.

Forse aiuterebbe immaginare che il mondo è ben più complicato di un Noi e un Loro nel quale non mi riconosco e nel quale l'unica mia preoccupazione è trovarmi davanti un coglione che, allevato con questa stupida idea in testa, mi obblighi a identificarmi in questa visione del mondo usando contro di me questa violenza di cui parliamo. 
Mi auguro che siate abbastanza intelligenti da capire che non sto difendendo nessun assassino, ma che al contrario sto facendo dei distinguo e sto paragonando dei diversi modi di uccidere e di fare terrorismo. Forse qualcuno di voi può ancora arrivarci. Forse c'è ancora speranza. Io se potessi partirei, ma al momento non hanno ancora inventato un mezzo per lasciarvi al vostro misero destino. O forse qualcuno lo ha già inventato e se n'è andato via, beato lui.


Post Scriptum: Questa immagine è tratta da Facebook. L'ho trovata sulla bacheca di un mio contatto di origini arabe. A quanto pare la traduzione della frase scritta sul muro sarebbe qualcosa del tipo "comunque ti amo ancora". Insomma niente più di un comune romanticismo imbrattatorio. A voi le fini deduzioni sul terrorismo dell'informazione. Magari potrebbe servirvi come una sorta di vaccino nei confronti delle stronzate di cui vi nutrite e che poi formano la vostra idea del mondo.
A me pare un altro motivo per andarmene... Vado a fare l'autostop sul tetto, magari passa un omino verde.