lunedì 14 dicembre 2015

Quando servire diventa un privilegio



Questa foto è tra le mie preferite. Un ricordo prezioso che si riferisce a uno dei momenti più intensi della mia famiglia. Non credo sia difficile capire il perché mi piace così tanto, ritrae i miei genitori mentre riposano fianco a fianco. Ma oltre a questo rappresenta anche altro: è stata scattata il sette febbrario di questo poco simpatico 2015 e dall'altra parte del telefono c'ero io a immortalare la scena. Quella sera eravamo al pronto soccorso dell'Ospedale Gemelli, dove abbiamo passato la notte, i miei genitori erano stanchi e, soprattutto, preoccupati. Avevo accusato ancora mal di testa dopo l'intervento d'urgenza e il successivo ricovero a neurochirurgia avvenuto due settimane prima e mio padre giustamente era spaventato che potesse ripresentarsi il problema che mi aveva obbligato a entrare in sala operatoria e farmi trapanare il cranio. Mentre aspettavamo in sala d'attesa i miei genitori cercavano di riposare e proteggersi dal freddo che entrava dalla porta continuamente aperta dalla gente che arrivava. Io ho colto l'occasione per scattare questa foto che vado spesso a riguardare per ricordarmi del loro amore nel sostenere un figlio bisognoso di aiuto.
Qualche anno fa un mio cugino mi disse "mostra rispetto e affetto a mio figlio e sarà come se tu avessi fatto questo a me" (solo adesso mi rendo conto di come suoni affine alla parola di un certo Gesù di Nazaret). A livello razionale avevo capito e condiviso quelle parole, ma allora non potevo certo comprendere il loro significato più profondo. E probabilmente non posso neppure adesso, dovrò aspettare di avere un figlio per sentire sulla pelle quell'amore di cui ogni genitore parla.
Eppure quando mi capitava di ripensare a quelle parole sempre più spesso ero tentato dal capovolgere la prospettiva e considerare invece la cosa dal punto di vista di un figlio che osserva e considera come gli altri si pongono nei confronti dei suoi genitori. Nel corso degli anni quell'istinto viscerale che mi spingeva a reagire contro qualunque offesa nei confronti dei miei genitori era lentamente aumentato. Non importava che l'offesa fosse verbale o fisica, semplicemente il cosiddetto "mancare di rispetto" nei confronti dei miei genitori mi faceva automaticamente ribollire.
Questo riflesso è cresciuto esponenzialmente durante la malattia di mio padre. Immediatamente io e mia sorella ci siamo attivati per cercare di fare il possibile e con il passare del tempo, mentre mio padre si indeboliva e diventava sempre più bisognoso di attenzioni, diventavo sempre più attento a come le persone si comportavano nei suoi riguardi. E il mio comportamento si adattava di conseguenza. Chi per lui mostrava attenzione e cortesia veniva da me ricambiato allo stesso modo, mentre chi lo trattava con sufficienza, ostilità o scortesia si guadagnava il mio disprezzo razionale e, soprattutto, il mio odio emotivo. Mi bastava vedere quella persona per mettermi sull'attenti, pronto a reagire. Non ce n'era motivo, si trattava soltanto di gente poco educata o semplicemente ignorante, ma un qualche ancestrale istinto di protezione mi risvegliava i sensi.
È stato in quei due mesi che ho compreso realmente il senso della parola servire. Era una parola che sentivo spesso in casa nella sua traduzione siciliana sirbiri o serbiri, di solito si riferiva alle persone anziane o particolarmente malate. Era una parola che da piccolo mi suonava male, sarà forse per quella caratteristica tipica del dialetto siciliano che inasprisce spesso le parole, la sentivo come una costrizione, un obbligo. Invece, ho scoperto in questi mesi, il valore profondo che questa parola custodisce è incindibilmente legato alla parola amore. Ho compreso, mentre con mia madre e mia sorella mi prendevo cura di mio padre, cosa vuol dire mettersi al servizio di qualcuno per ogni suo bisogno e adattare la propria vita in relazione alle esigenze di una persona amata e bisognosa di attenzioni. Ogni volta che mio padre mi cercava perhé lo aiutassi in qualcosa mi mettevo al suo fianco e lo accompagnavo nei gesti quotidiani sentendomi onorato di poter servire in qualche modo una delle due persone che mi avevano dato la vita. Mi sentivo onorato di essere accanto a lui e aiutarlo, sostenerlo, offrire la mia forza e il mio affetto alla persona che più di tutte stimavo. Ho scoperto in pratica che i sacrifici fatti per amore tutto sono tranne che sacrifici.
Dopo aver vissuto questa esperienza mi rendo di come chi non ci sia mai passato non può comprendere la forza inaspettata che si scopre di avere quando più è necessaria.
 
Ci sono emozioni nei miei ricordi di quei giorni che non posso raccontare, non per un malrealizzato senso del pudore, quanto perché forse non sono ancora in grado di descriverle neppure nella mia testa. Quello che so, quello che ho compreso nel profondo, è l'incredibile fortuna di aver avuto un padre nella mia vita a proteggermi a sostenermi con la sua semplice presenza silenziosa. 
 
C'è un senso di giustizia nel poter restituire, almeno in parte, l'amore che un genitore offre ai suoi figli restandogli accanto quando i rapporti di forza si invertono e tocca al figlio sostenere il genitore. So di aver perso mio padre troppo presto, ma so anche che se non fosse stato per un incredibile combinazione di fortuna e prontezza di riflessi, per non parlare della lucidità mentale sua e della disponibilità di chi si è accorso subito in suo aiuto, non avrei mai avuto il privilegio di crescere  vivendo ogni giorno con la sua presenza nella mia vita. So che avrei desiderato poter essere per molto più tempo il bastone della sua vecchiaia (come mi disse una volta di tanti anni fa), ma so anche che è stato un onore essergli accanto ogni giorno in quei due mesi e servirlo cercando di alleviare il più possibile le sue sofferenze.
E non dimenticherò mai come, anche nel momento più difficile, il suo pensiero fisso era la sua famiglia: sua moglie e i suoi figli. Come mi diceva continuamente di mettere a caricare il computer di mia madre per evitare che si calasse lei e sforzasse la schiena. Come si preoccupava che mangiassimo o come quando gli dicevo di non preoccuparsi e di pensare solo a riposarsi perché "papà stanotte non hai dormito quasi niente" lui mi rispondeva dispiaciuto "nemmeno te ho fatto dormire". Ed è stato un onore esserti accanto papà, passare le notti con te, con quel padre che il giorno della partenza per Roma nella speranza di trovare una cura mi chiese un'ultima volta "ma tu stai bene? Hai avuto più problemi?". Di fronte alla prospettiva della morte la sua preoccupazione era rivolta ai suoi figli e a sua moglie. Cosa posso dire di mio padre se non che essere suo figlio è stato e sarà per sempre un privilegio straordinario? Nel prenderci cura di te, noi due figli tuoi, non potevamo far altro che seguire l'esempio che ci hai lasciato quando ti prendevi cura di tuo padre negli anni della sua vecchiaia. 

Ho imparato in questi mesi il senso profondo della parola Famiglia, una parola che sembra aver perso il suo significato nella caotica vita delle città globali, ma che ha mostrato tutto il suo valore quando nei giorni più tristi non siamo mai rimasti soli, circondati come eravamo dall'affetto di amici e parenti.
E non dimenticherò mai, papà, tutte le persone che entravano in casa e scoppiavano a piangere pensando a te e alla tua sofferenza, segno inconfutabile della stima e dell'affetto che ispiravi a quanti avevano avuto la fortuna di incontrarti. 



Come sarò ricordato dai miei figli? Ecco la vera misura di un uomo. (Abulurd Harkonnen - Frank Herbert)
Grazie... Grazie per tutto, per le mattine al mare e per i combattimenti sul tuo amato divano. Grazie per le vacanze insieme e il latte la mattina alle quattro mentre gli zoccoli per strada suonavano la sveglia. Grazie per quello che ho detto e per quello che rimarrà dentro di me senza essere mai raccontato. Grazie per la reazione che il tuo nome provoca in così tante persone, leggere nei loro occhi il rispetto e l'affetto nei tuoi confronti è una gioia per i tuoi figli. Grazie per innumerevoli momenti e incalcolabili significati.
Ogni notte, mettendomi a dormire su quel materasso accanto a te, mi tornava alla mente una strofa di una canzone:

L'ultima notte al mondo io la passerei con te
 Essere lì con te è stato un onore... Portare per tutta la vita il tuo cognome è un orgoglio inestimabile.
Come ti ho già detto: È un privilegio essere tuo figlio, grazie papà.

















sabato 12 dicembre 2015

Grazie

È strano non sentire più la tua voce, chiamare mamma e non dire più "passami papà". Sono ormai più di due mesi che non ci sei e continuo a chiedermi ogni giorno dove sei andato. Come in quei giorni mi mettevo accanto a ciò che di te restava e ti chiedevo "dove stai andando papà?".
E se fosse possibile ti verrei a prendere, per riportati con noi e abbracciarti ancora. Per sentire la tua voce, per stringerti la mano, per prepararti ancora uno di quei piatti che ti facevano dire "mi sono arriccriato", per andare ancora al mare insieme come abbiamo fatto per più di vent'anni, insieme allora come la scorsa estate e in tutti questi anni senza cambiare nulla se non quello di noi due che guidava l'auto: tu nei primi quindici anni, io negli ultimi dieci.
Credo che non ci sia onta più grande per un figlio dell'essere causa delle lacrime di un genitore. Cosi come credo che non ci sia onore più grande per un figlio dell'essere causa delle lacrime di un genitore.
Ho avuto la fortuna di crescere sotto la tua ala, ho avuto il piacere di scoprire in età adulta che grande uomo sei stato. Ho avuto la gioia di dirti quanto fortunato mi sentissi nell'essere tuo figlio, ho avuto il privilegio di assisterti nel momento più tragico.
Ho avuto in effetti il privilegio di essere tuo figlio. E di tutto questo volevo dirti ancora una volta grazie.
Ma voglio ringraziare te e mamma Carmela per quello che in fondo è il regalo più bello che si possa fare a un figlio. Voglio dirvi grazie, mamma e papà, per avermi regalato quella meravigliosa rompicoglioni che è mia sorella Vittoria.
E non preoccuparti papà, ci pensiamo noi alla mamma.

sabato 21 novembre 2015

Un Editoriale dal Futuro

Con un paio di mesi di ritardo pubblico anche in questa sede il racconto con cui ho partecipato alla seconda edizione del contest "Spazio all'Immaginazione", piazzandomi al terzo posto dopo la vittoria dello scorso anno.


redit: iforlab
Un Editoriale dal Futuro
Vincenzo Cammalleri
Con la chiusura ieri dei Giochi della XXXVI Olimpiade cala il sipario sull'evento sportivo, ma resta viva la sensazione entusiasmante e allo stesso tempo inquietante, che una nuova epoca sia alle porte. Non è mai facile scrivere un editoriale quando si ha la certezza di essere testimone di un evento di tale portata, si rischia di scivolare nel campo della retorica e allo stesso tempo di banalizzare un momento storico di cui si parlerà nei secoli (e forse nei millenni) a venire.
Non è una questione di record, sebbene siamo tutti rimasti impressionati dalla prova collettiva degli atleti nordcoreani. Dopo la sorpresa nelle prime gare qualcuno aveva ingenuamente sperato che si trattasse di un fuoco di paglia, ma mentre i giorni passavano le finali decretavano i vincitori, si assegnavano le medaglie e i record venivano infranti lasciando presagire un risultato finale che ci avrebbe lasciati tutti senza fiato. A Olimpiade conclusa il medagliere di Dehli 2036 assegna duecentosessantasette Ori alla Nord Corea, accompagnati da duecentoquindici Argenti e duecentotrentaquattro Bronzi. Un primo posto incontrastato con gli U.S.A. secondi con soli ventiquattro Ori, mentre il nostro medagliere azzurro piange con appena un Bronzo conquistato dal giovane Donetti nella scherma. Un distacco simile non si era mai visto nella storia dei Giochi Olimpici, un monopolio tale per cui si può affermare a ragion veduta che in India abbiamo assistito alle prima dimostrazione di quello che la bioingegneria può realizzare.
Le prestazioni sovrumane di Kim Eun Hae nel getto del peso (NWR con 47,38 m), Kang So Hyuk nel salto in lungo (NWR con 15,82 m) e Lee Sung Go nella maratona (NWR 1h27'58'') sono già sufficienti per intuire che a Dehli non hanno gareggiato dei semplici esseri umani. I test e i prelievi effettuati hanno evidenziato parametri ben oltre i range di normalità, anche per gli atleti più straordinari. Non c'è bisogno di citare i già ampiamente diffusi dati sull'ematocrito degli atleti coreani (che in alcuni casi ha toccato l'incredibile quota del 73% ponendo seri dubbi sulla salute e il destino di tali atleti una volta terminati i Giochi), basta ricordare le immagini in televisione con gli atleti dal torace ampio e con i lanciatori coreani dotati di una muscolatura semplicemente esagerata per arrivare infine al caso di Ri Kwang Chong (dominatore nel nuoto) con quei fori dietro il collo che si sono dimostrati essere delle narici ectopiche.
É chiaro a tutti che il famoso Uomo Nuovo annunciato dal governo di Pyongyang è un atleta costruito ad arte per superare i limiti che l'evoluzione ha imposto all'uomo naturale (se oggi questa parola ha ancora un significato).
A nulla servono le invettive degli indignati che vorrebbero tornare alla purezza di un tempo in cui il gesto sportivo era alla portata di qualunque uomo e la discriminante tra la normalità è l'eccellenza era dovuta, più che ai fortunati doni di madre natura, alle capacità individuali di superare ogni ostacolo con la forza di volontà.
Del resto il passaggio dal dilettantismo al professionismo aveva già tracciato un primo solco e successivamente l'ammissione di Oscar Pistorius a Pechino 2008 è stato un precedente che nel giro di qualche anno ha aperto le porte a tutta una serie di casi limite. È stato giocoforza accettare il doping e regolamentarlo.
Segno dei tempi che cambiano, segno di un nuovo modo di vedere e affrontare il limite in cui l'atleta non è più il romantico eroe che affronta in solitaria gli orizzonti imposti ai mortali. Oggi l'atleta è non solo servito e preparato da un team di esperti professionisti che perfezionano il gesto e l'atleta-macchina. Da adesso in poi l'atleta non è più scelto dal fato, ma costruito e progettato verso un destino preciso prima ancora di nascere. Ma, se guardiamo oltre i record e le prodezze sportive, l'atleta perfetto realizzato dai coreani è solo un esempio di quello che sarà l'uomo nuovo.
Fa una certa impressione scriverne e, come dicevo all'inizio di questo articolo, rischio di risultare retorico e pedante, ma ho trascorso notti insonni alla tv e mentre guardavo e riguardavo i record frantumati mi chiedevo continuamente: e ora?
Filosofi e pensatori ne hanno parlato qualche volta, mentre libri e racconti di fantascienza hanno sviscerato da molteplici angolature il problema di ciò che verrà dopo l'uomo. Ricordo uno splendido romanzo di René Barjavel, Il Viaggiatore Imprudente, che lessi una trentina di anni fa. L'autore francese descriveva le tragicomiche avventure di due spericolati viaggiatori nel tempo, tra cui il loro arrivo nel mondo del 100.000 D.C.! Agli occhi dei viaggiatori si mostra un mondo irriconoscibile, dove strani esseri svolgono le più disparate funzioni in una società che ricorda una fabbrica biologica. Alla fine rimangono basiti quando realizzano che stanno assistendo all'estrema evoluzione umana: la specializzazione ha portato gli uomini a dividersi in specie differenti, ognuna delle quali si dedica a una funzione precisa, più o meno come fanno le formiche in un formicaio o, meglio ancora, come fanno gli organi del corpo umano. Un romanzo scritto poco meno di un secolo fa, ma che sembra anticipare gli eventi e suggerire quello che potrebbe accadere in un tempo non troppo lontano, certamente ben prima di quanto prospettato da Barjavel.
Forse sto volando troppo con la fantasia, ma non si può ignorare il fatto che tutta la storia umana sia stata una corsa alla specializzazione. La differenza è che oggi questo processo può iniziare prima ancora che l'individuo sia composto da un numero complessivo di cellule superiori all'unità. Il pericolo in tutto questo è che se è possibile avere su commissione il figlio dei sogni, se è possibile progettare a tavolino il soldato perfetto, l'atleta perfetto o il manager perfetto, allora la dignità dell'individuo in quanto essere unico e dotato di diritti viene sacrificata sull'altare delle logiche di potere o dei desideri egoistici di genitori incapaci di fare i conti con le variabilità naturali della vita.
Mi rendo conto che può non sembrare un gran problema, ma se fate due conti non è difficile rendersi conto che nel momento in cui compaiono i primi “superumani” essi hanno inevitabilmente un vantaggio evolutivo non trascurabile. Se una nazione è dotata di atleti capaci di fare con un respiro quello che gli altri atleti fanno con tre respiri è ovvio che per poter competere anche le altre nazioni dovranno cercare di adeguarsi. Se un esercito è dotato di soldati capaci di muoversi più velocemente, di pensare più rapidamente, di colpire con rapidità e forza sovrumane allora nessun altro esercito potrà competere e sarà costretto ad adeguarsi in una corsa agli armamenti di tipo umano.
Rischiamo due scenari:
- Nel primo scenario questi nuovi uomini saranno prodotti come schiavi, ammesso che si riesca a controllarli e dominarli senza che qualcuno trovi il modo di ribellarsi, e daranno un immenso potere a chi potrà sfruttarne le prestazioni. Questo scenario presenta innumerevoli risvolti etici sia per quanto riguarda i nuovi schiavi e sia per il potere che i nuovi schiavisti potranno esercitare.
- Nel secondo scenario invece questi esseri saranno in grado di integrarsi lentamente e cominceranno a occupare tutti i ruoli più importanti nella società grazie alle loro doti eccezionali. Per gli umani “normali” non si chiuderanno solo le porte delle arene sportive, ma anche quelle degli uffici più prestigiosi e dei consigli di amministrazione. Ci ritroveremo a essere dipendenti in ogni cosa da questi nuovi superumani e incapaci di decidere del nostro destino.
Qualcuno si starà ancora chiedendo cosa c'è di male. In fondo se questi esseri sono così intelligenti e forti da poter pensare e agire meglio di noi allora vuol dire che per l'umanità alla fine tutto si rivelerà un grande affare. Ma non bisogna dimenticare che l'avere governanti più capaci e intelligente non è necessariamente sintomo di miglioramenti e benessere per i governati, semplicemente perché chi ha il potere potrebbe voler usarlo più per il proprio benessere che per quello del suo popolo.
Questo dei superumani costruiti in provetta è un fenomeno appena agli inizi, al momento limitato perché gestito e controllato da un unico potere centrale, ma cosa accadrà quando praticamente chiunque potrà farsi il laboratorio il suo superumano preferito? Cosa ne sarà della dignità e dei diritti di questi individui? Quali prospettive ci saranno per chi si rifiuterà di adattarsi a questa corsa biologica verso l'oltre-umano?
Il punto è che si potranno stabilire leggi e accordi internazionali, ma limitare e contenere il fenomeno non basterà: ci sarà chi riuscirà comunque ad aggirare gli accordi come del resto è sempre accaduto e come la storia stessa della bomba atomica ci insegna. Chiunque riuscirà a realizzare su vasta scala un esercito, non necessariamente militare, di superumani sarà in grado di mettere sul campo un potere ineguagliabile da coloro i quali si rifiuteranno di adattarsi ai tempi che mutano. Quando il primo uomo con una pietra affrontò l'uomo che continuava a combattere orgogliosamente a mani nude fu il primo a vincere lo scontro. Con buona pace delle considerazioni etiche e morali.

sabato 10 ottobre 2015

Indelebile

Continuo a chiedermi, continuo a chiederti, dove sei andato. Continuo a chiedermi se mi senti tutte le volte in cui ti parlo e ti cerco nei miei pensieri. Ho avuto la fortuna di amarti ed essere amato da te per ventotto anni, forse un giorno avrò la fortuna di riabbracciarti in un altro tempo e in un altro luogo. Non credo, ma spero.
In ogni caso, grazie per ogni singolo attimo trascorso insieme. Dai primi vagiti ai rimproveri, dalle mattine al mare insieme fino alle ultime notti passate insieme.
Ricordi strazianti...
E non sarebbero così strazianti se non fosse per l'indelebile importanza di coloro con cui li abbiamo costruiti.
Ci sono mancanze a cui non si può rimediare e vuoti che tali rimarranno, né sarebbe giusto riempirli con presenze altre da colui la cui assenza li ha generati.
Ti voglio bene...

martedì 8 settembre 2015

Un piccolo contest a cui partecipo per la seconda volta


Dopo la bella esperienza dello scorso anno rinnovo la mia partecipazione a Spazio all'Immaginazione (Contest Sci-Fi di Link2Universe).

Per chi volesse leggere il racconto basta cliccare sul seguente link: Un Editoriale dal Futuro

Mentre per votare il mio racconto e quelli degli altri partecipanti è necessario iscriversi al gruppo facebook Spazio all'Immaginazione dove troverete i link ai singoli raccconti.

lunedì 20 luglio 2015

Sognando di volare via


A tutte quelle volte in cui poteva accadere e non è mai accaduto, a tutte quelle che sono rimaste solo un sogno. E a quell'unica volta in cui poteva non accadere e invece è accaduto, perché da sola vale più di ogni notte passata a sognare di volare via.


Aereoplano che te ne vai
lontano da qui
chissa’ cosa vedrai
le luci della sua citta’
forse lei mi pensera’.
ma non so’ se crederci o no
forse non l’ho avuta mai.
e chissa’ se la rivedro’
ma tu me la racconterai.
se capitera’ che passerai
per questo grigio cielo tu
riportami lei
se non vorra’ le parlerai.
se capitera’ tu le dirai
la rivorrei accanto,
seduti qui
sognando di volare via.


domenica 28 giugno 2015

Se soltanto... l'orgoglio dell'ignoranza e le sue conseguenze

Ieri sera, giusto prima di andare a letto, ho avuto il piacere di leggere un racconto di Tony Ballantyne, di straordinario impatto emotivo e intellettivo, dal titolo Se Soltanto... 
Il racconto, il cui titolo originale è If Only..., è stato tradotto in Italia da Mondadori e si trova nel numero sessantasei della Collana Urania Millemondi.
Dico subito che questo racconto è stato pubblicato nel settembre del 2012 dalla rivista Nature, per chi non lo sapesse parliamo della più importante rivista scientifica al mondo e fior di scienziati si taglierebbero un braccio pur di vedere i loro articoli nel sommario.
Interamente leggibile (in inglese) a questo link, Se Soltanto... riesce nel brevissimo spazio di poco più di tre pagine a porre le estreme conseguenze della dilagante ignoranza scientifica e delle sue conseguenze.
Per chi non fosse in grado di leggere in inglese spiego brevemente il senso del racconto, chi volesse prima leggere l'originale si fermi e torni dopo aver letto If Only...
Siamo in uno studio medico e una madre è preoccupata per il vaccino che il medico sta per iniettare al suo piccolo. La donna chiede al medico l'assicurazione che l'iniezione non danneggerà il bambino e il medico risponde che c'è sempre un piccolo rischio, ma che è del tutto trascurabile. La Donna a quel punto si alza indignata, ritenendosi presa in giro, e rifiutando le spiegazioni del dottore. Fin qui stiamo descrivendo una normalissima scena di vita vissuta che qualunque operatore sanitario ha già visto decine di volte. L'elemento fantastico della storia è rappresentato da un bip del computer che annuncia che la signora ha "varcato la soglia che le concedeva il diritto di accedere alla scienza". In parole povere in questa società immaginata da Ballantyne esiste un limite oltre il quale chi rifiuta di usare la propria intelligenza per cercare di comprendere i fatti e i meccanismi della scienza perde il diritto a usufruire liberamente delle sue conquiste.
Ho trovato splendido questo passaggio:
“Look at this,” said James, scrolling down a long table. “Times and dates of occasions when you've proudly admitted to not being good at maths.”
“What's the matter with that? I'm not.”
“It's not the lack of ability, Sacha, it's the fact that you're proud of it. You'd never be proud of being illiterate. Why do you think your innumeracy is a cause for celebration?”
in cui in pratica il medico dice: "Il problema non è la sua ignoranza, ma il fatto che ne è orgogliosa. Non si vanterebbe mai di essere analfabeta, ma si vanta tranquillamente del suo disinteresse per le scienze".
Cosa ha di geniale questo racconto? Il fatto che riesce, in maniera concisa e provocatoria, a mettere alla berlina quanti insistono a voler decidere su temi che richiedono un minimo di dedizione e impegno pur senza aver mai dedicato i propri neuroni a esaminare i fatti. Si tratta di gente che pretende di scegliere per se e per gli altri pur vantandosi di essere una capra ignorante sul tema in questione che non necessariamente è la scienza.
Si tratta di un tema attualissimo e di forte impatto, basti pensare alla psicosi da vaccino o alla gente che teme di farsi una ecografia per paura delle radiazioni (lo dico per chi non lo sapesse: l'ecografia non usa le radiazioni... e se avete avuto bisogno che ve lo dicessi avete un problema con la scienza).
La scelta di Nature di pubblicare racconti di fantascienza è certamente una presa di coscienza di come la narrativa, la letteratura e le arti in genere possano essere veicolo di concetti e idee che spesso il grande pubblico non trova semplice approcciare. Un racconto come questo mette il lettore di fronte alle estreme conseguenze di una scelta di vita che non è oggi adeguata alla realtà che ci circonda, sempre che lo sia mai stata. Conoscere tutto è ovviamente impossibile, vantarsi di essere ingorante e poi pretendere di fare scelte consapevoli è sciocco!
Se la più importante rivista scientifica al mondo decide di pubblicare racconti di fantascienza vuol dire che ne ha ben compreso l'enorme potenziale, immaginifico e filosofico, nell'offrire interessanti spunti di riflessione come nel provocare portando alle sue logiche ed estreme conseguenze le tendenze sociali emergenti.

martedì 23 giugno 2015

Una telefonata allunga la vita


Scoprirete che gli amori e le amicizie dell'adolescenza sono difficili da dimenticare, anche una volta finiti, mentre sarà più facile dire addio a chi incrocerà la vostra vita in seguito. Forse questo dipende dal fatto che sarete più grandi e disillusi, forse perché le prime esperienze sono indimenticabili e basta. O forse perché l'intensità con cui si vive alla vostra età è un dono che cercherete di ritrovare per tutto il resto della vostra vita. 
Passerà il tempo, incontrerete di nuovo gli amici che avete lasciato indietro, sorriderete e parlerete con loro. Vi accorgerete che non è più come prima. ma scoprirete anche che in fondo c'è un qualcosa che è rimasto sempre uguale.
Neppure una settimana fa ne parlavo in questo intervento. E vorrei stasera aggiungere che quello che vale per le amicizie dell'adolescenza vale, se si riesce a farle durare, forse anche di più per le amicizie nate ben prima: in quell'età in cui il mondo lo si vede in televisione o al massimo dietro un pallone per strada o, per chi è fortunato, tra le spine di un prato di campagna.
Questa sera ho ricevuto una telefonata da parte di un amico di lunga data. Una di quelle telefonate che allungano la vita, o quanto meno te la rendono più bella.
Questo intervento è dedicato a lui e a quest telefonata. Giusto per ricordargli che, appena fra una cinquantina d'anni, abbiamo un appuntamento da rispettare. E se tutto va bene il pubblico sarà rappresentato dai nostri nipoti a cui racconteremo di come un tempo una finale di Coppa del Mondo si decideva su un campo di fantasia tra le sperdute campagne della Sicilia più arida. O forse non ci sarà pubblico, e allora basterà usare la fantasia. Come quell'ultima estate di quindici anni fa.
Perché alle volte si è più forti del tempo.

Si può essere amici per sempre,
anche quando le vite ci cambiano,
ci separano e ci oppongono.
Si può essere amici per sempre,
anche quando le feste finiscono
e si rompono gli incantesimi.



lunedì 22 giugno 2015

Pensieri sparsi di un lunedì pomeriggio d'estate




Nella tua vita passeranno persone diverse. Molte lascieranno più dolore che altro, ma nel loro passaggio ti avranno insegnato comunque qualcosa.
Usa quel qualcosa per rendere felici quelle poche persone la cui presenza arricchisce la tua vita.
Usa quel qualcosa per essere felice tu.
Sarà la miglior vendetta per il tuo dolore. E a quel punto la vendetta sarà superflua.

mercoledì 17 giugno 2015

La maturità è bella

 La cosa più bella degli esami di maturità è l'atmosfera. Le ammucchiate casalinghe per megasessioni di studio che diventano occasioni di cazzeggio senza sosta, la consapevolezza che tante di quelle persone non le vedrai più e quei tanti "chissà dove saremo tra qualche anno" o "speriamo di riuscire a non perderci di vista".
Godetevi questi momenti. Quando vi dicono che sono i più belli vi dicono la verità. Li ricorderete con piacere.

E a quanto pare oggi sono iniziati gli esami di maturità. Chissà perché ogni anno, noi che li abbiamo fatti qualche anno fa, ci ritroviamo a pensare a quando è toccato a noi e al tempo che è passato.
Accedo su facebook e una cara amica scrive che per le sono passati dieci anni, una bella cifra, ma anche io non scherzo avendo sostenuto la prova nel lontano 2006. Sono ormai passati ben nove anni, sembra una vità fa. E in effetti è una vita fa.
Fatico onestamente a ricordare quello che feci la "notte prima degli esami", mentre ricordo benissimo quello che stavo facendo la notte prima dell'esame orale: era la mitica notte di Italia Germania, quella del gol di Grosso e dei caroselli in giro per le strade. Per noi quell'anno fu una maturità da film con sullo sfondo una Coppa del Mondo che ci fece emozionare tutti. Ma forse tutte le maturità sono da film, nel bene o nel male. Per chi vive quei momenti tutto ha un sapore speciale, il tempo sembra sospeso: ti ritrovi a pensare a quello che sei stato fino a quel momento e a quello che sarai, forse, da quel momento in poi. Ti guardi intorno e vedi accanto a te gli amici di quegli anni che, così dicono, sono i più belli. Non sai cosa accadrà, mentre sei circondato da amici e compagni di classe pensi al percorso che ognuno di voi è pronto a intraprendere, alle incognite del futuro e alle speranze che ciascuno di voi porta nel cuore. Ci sono sogni che non si avvereranno, ma alcuni riuscirete a realizzarli. Ci sono speranze che saranno spente brutalmente, ma anche tante sorprese che vi cambieranno la vita. 
Ci sono amori che finiranno, amicizie che si scioglieranno, cuori che si spezzeranno. E ci saranno emozioni nuove pronte ad attraversarvi e farvi diventare persone diverse. Anche se, scoprirete, in un certo senso sarete sempre gli stessi e quei ricordi costruiti durante questi cinque anni saranno sempre con voi, come le persone con cui li avete condivisi avranno sempre un posto speciale nel vostro cuore a prescindere dalle pieghe che il tempo metterà al vostro rapporto.
Scoprirete che è cambiato un mondo e non basterà più fare il minimo sindacale per tirare avanti fino a fine maggio per poi godersi l'estate, dovrete invece riscoprire voi stessi e scovare dentro di voi le qualità e la forza per trovare il vostro posto nel mondo.
Molti di voi cambieranno città, alcuni saluteranno l'Italia. All'inizio sarà difficile (oppure maledettamente affascinante), ci saranno momenti di solitudine, di nostalgia, ma vi abituerete e imparerete che il posto giusto dipende dalle persone che hai intorno e da quello che fai ogni giorno per sentirti vivo.
Ricorderete i problemi tra i banchi di scuola con un sapore dolce-amaro sulla lingua, consapevoli che quelli che dovrete affrontare adesso saranno ben più difficili, ma nonostante ciò ricordando benissimo quanto a quei tempi vi erano sembrati così straordinari. 
Scoprirete che gli amori e le amicizie dell'adolescenza sono difficili da dimenticare, anche una volta finiti, mentre sarà più facile dire addio a chi incrocerà la vostra vita in seguito. Forse questo dipende dal fatto che sarete più grandi e disillusi, forse perché le prime esperienze sono indimenticabili e basta. O forse perché l'intensità con cui si vive alla vostra età è un dono che cercherete di ritrovare per tutto il resto della vostra vita.
Passerà il tempo, incontrerete di nuovo gli amici che avete lasciato indietro, sorriderete e parlerete con loro. Vi accorgerete che non è più come prima. ma scoprirete anche che in fondo c'è un qualcosa che è rimasto sempre uguale.
Vi capiterà di incontrare quella ragazza che vi ha fatto battere così forte il cuore, magari mentre avrete accanto la donna con cui adesso condividete la vita e che siete pronti a sposare. Scoprirete che vi batte ancora il cuore anche solo al ricordo, ma se siete stati fortunati adesso conoscete davvero il significato della parola amare e stringerete ancora più forte la mano della donna che avrete accanto.
Se vi guardate indietro, mentre si sta chiudendo un'epoca della vostra vita, vi accorgerete di quanto siete cambiati e cresciuti nel tempo. Cambierete ancora, con velocità diverse nel corso degli anni, ma una parte di voi rimarrà sempre uguale.
L'unico consiglio che vi posso dare, prima di lasciarvi a due canzoni che credo siano perfettamente adatte alla situazione, è lo stesso consiglio che diede la prof di Filosofia alla 4°B del Liceo Scientifico G.B.Odierna di Palma di Montechiaro nell'ormai lontano 2005:
Nutrite il vostro cervello di emozioni.









domenica 14 giugno 2015

Il vero amore


Cos'è il vero amore?
Un sentimento che esiste, ma che pochi fortunati incontrano davvero.
L'amore non è il batticuore, è innamorarsi dell'anima dell'altra: Sentire che ciò che si ha insieme è più della somma delle parti, è crescere insieme, imparare, è desiderare la sua felicità. Guardarla dopo anni e desiderarla sempre di più, è litigare, chiedere scusa e ricominciare e non tradirsi mai, in nessun campo.
Amare vuol dire sapersi e potersi fidare, abbandonarsi senza difese e consegnare i propri segreti.

Credimi: solo chi lo ha provato può distinguere l'Amore dal vuoto desiderio dell'altro, dal nudo possesso materiale di un altro essere umano...

Tu che hai conosciuto l’immensità di un cielo stellato
sai che non è possibile vivere come se non esistesse
una volta che lo hai conosciuto.

Tu che hai conosciuto l'immensità del mio amore
sai che non è possibile vivere senza
una volta che l'hai posseduto.

The smile on your face lets me know that you need me,
goodbye my lover.

lunedì 1 giugno 2015

L'eterno dilemma: dolce schiavitù o amara libertà



Nel mio ultimo intervento (vagando senza appigli tra Utopia e Distopia), in cui sostenevo l'equivalenza di Utopia e Distopia, concludevo con una serie di vignette che illustravano le differenze tra Orwell e Huxley.
Quest'ultimo in particolare è stato capace di cogliere, già negli anni trenta del secolo scorso, le tecniche di controllo delle masse che i regimi occidentali avrebbero utlizzato per limitare le libertà individuali o per canalizzarle verso gli scopi dei governanti. In questo, quindi, Huxley si caratterizza per la capacità di immaginare dei metodi dolci di sottomissione in netta contrapposizione con quelli immaginati da Orwell e da altri prima e dopo di lui (compreso  Zamjatin a cui Orwell si è chiaramente ispirato). Se è infatti abbastanza semplice pensare che i potenti impongano il loro volere con la forza, la violenza, la paura e il terrore, è meno intuitivo pensare che una sorta di violenza, di limitazione delle libertà individuali, si possa realizzare anche senza che la vittima ne sia consapevole e, anzi, addirittura facendo in modo che sia felice e soddisfatta della sua condizione.
Per realizzare questo Huxley immagina addirittura la possibilità di realizzare degli esseri umani geneticamente costruiti per essere felici della loro condizione, indottrinati in maniera impeccabile affinche vivano la loro vita all'interno della cultura vigente senza preoccuparsi di nulla al di fuori del lavoro e degli svaghi suggeriti dal governo. E se questo non bastasse allora c'è sempre la droga pronta ad offrire la felicità in pillole.
Vi suggerisce qualcosa? Le analogie con la moderna società occidentale sono impressionanti, ma Huxley si spinge ben oltre e non posso che consigliarvi di leggere il prima possibile il suo mirabile capolavoro pubblicato in Italia con il titolo "Il Mondo Nuovo" che contiene anche alcuni saggi, scritti pochi anni dopo dallo stesso Huxley, in cui l'autore riferendosi alla storia a lui contemporanea spiega come molte delle sue previsioni si sono già avverate.

C'è però una differenza tra la società descritta da Huxley e la nostra società contemporanea: noi non siamo (ancora?) progettati geneticamente, non siamo indottrinati in maniera sistematica e controllata, non siamo omogenei dal punto di vista culturare e conserviamo, almeno in potenza, una certa indipendenza e una notevole capacità di tirarci fuori dal controllo altrui.
Noi nasciamo in famiglie distinte, in contesti culturali a volte diversissimi da un quartiere a un altro, da una città all'altra e, nonostante l'omogenea cornice culturale che deriva dalla televisione e dai media meno tradizionali, vivere in contesti familiari e socio-culturali diversi fa una enorme differenza nel modo di vivere e di vedere il mondo di ogni individuo.
Noi abbiamo un sistema scolastico che, seppur ben lontano dalla perfezione, insegna a tutti i rudimenti della conoscenza. Ognuno di noi sa leggere, scrivere, far di conto e ha la possibilità di informarsi e farsi una cultura in maniera autonoma vivendo nel mondo, leggendo libri, comunicando con gli altri.
Abbiamo la possibilità di conoscere e imparare come mai nessun popolo nella storia umana ha potuto. Abbiamo biblioteche pubbliche gratuite per tutti e la capacità di usufruirne liberamente a un età in cui i nostri predecessori stavano nei campi a guadagnarsi il pane. Nonostante un mercato del lavoro che sembra tornare indietro di decenni abbiamo ancora più tempo libero di quello goduto dalla maggioranza degli uomini e delle donne fino a solo settanta anni fa. E abbiamo la possibilità di usarlo in modo ben diverso.
Insomma siamo ancora lontani dal controllo totale e perfetto di Huxley.
E allora qual'è il nostro problema?



Ma quale altro discorso è possibile se gli “integrati” hanno trovato il loro rifugio tra coloro ai quali, e sono i più, la televisione, lo stadio, la moda, lo shopping hanno fornito gli opportuni strumenti di rimozione e di ottundimento di sé? E chi si rifiuta di consegnarsi all’ottundimento, perché ancora dispone di una discreta consapevolezza di sé, a chi si rivolge quando incontra non questo o quel dolore, intorno a cui si affollano le psicoterapie, ma quell’essenza del dolore che è l’irreperibilità di un senso?
Qui le psicoterapie non servono perché non è “patologico” come si vorrebbe far credere, porsi domande, sottoporre a verifica le proprie idee, prendere in esame la propria visione del mondo per vedere quanto c’è di angusto, di ristretto, di fossilizzato, di rigido, di coatto, di inidoneo, per affrontare i cambiamenti della propria vita e i mutamenti così rapidi e imprevisti del mondo.
(I Miti del Nostro Tempo, Umberto Galimberti, pag. 154)

Forse il nostro problema è che non ci importa di essere liberi. Con la pancia piena, il divertimento e la felicità in pillole, della libertà di scegliere, pensare e indagare il mondo non frega a nessuno. O meglio... importa a ben pochi. Una piccola parte dell'umanità è inquieta, affamata, curiosa, più le si riempie la pancia e più ha voglia di girarsi intorno, alzare lo sguardo e andare a caccia delle verità ultime. Probabilmente nella storia umana non è mai stato differente: la maggioranza degli uomini ad accontentarsi di panem et circensem, mentre pochi pazzi ambiziosi tiravano la carretta del progresso umano. Non siamo mai stati tutti come l'Ulisse di Dante.
«“O frati,” dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e canoscenza”.»
(vv. 112-120, Dante Alighieri)
Eppure generazioni di pensatori e attivisti politici hanno fondato teorie e speranze sull'idea che quello che serviva agli uomini per liberarsi dalle famose catene dell'oppressione e della povertà fosse l'istruzione. Era, dicevano, una questione di opportunità. L'ignorante non può ribellarsi perché è facilmente circuibile dal potente che conosce e che incute soggezione. Avevano ragione, ma non potevano immaginare che l'istruzione e le pari opprtunità non bastano. Senza ambizione, senza fame di conoscenza, senza voglia di capire e di scoprire l'uomo si accontenta di ciò che ha e non riesce a vedere ciò che lo circonda. O comunque non è interessato, certe cose non lo riguardano.
“L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa”. 
(Antonio Gramsci, 11 febbraio 1917)
Diciamoci la verità: se così tante volte ci sembra di vivere in un mondo imperfetto siamo noi stessi ad averne una buona fetta di colpa. Siamo colpevoli quando, pur consapevoli di non sapere, ci crogioliamo nella nostra ignoranza disinteressandoci del mondo e di ciò che accade intorno a noi. Ha ragione Gramsci quando parla dell'indifferenza e del suo operare nella storia. 
Quando non vi importa nulla di scoprire perché qualcuno nel mondo è disposto a morire per uno scopo, quando di fronte alla Missione Rosetta non siete in grado di comprendere che non si tratta solo di una scampagnata su un pezzo di ghiaccio, quando non vi importa di scoprire le ragioni politiche dietro il Processo di Norimberga, quando ridete di qualcuno che si espone al pubblico scherno perché vive e pensa in modo diverso da voi, quando insomma vi chiudete nel vostro piccolo mondo senza porvi domande su come e perché vivete in quella piccola bolla di universo il vostro problema non è l'ignoranza, ma l'incapacità (e il disinteresse) di farvi le domande giuste.
La preghiera è così:
'Proteggimi dal sapere quel che non ho bisogno di sapere. Proteggimi anche dal sapere che bisognerebbe sapere cose che non so. Proteggimi dal sapere che ho deciso di non sapere le cose che ho deciso di non sapere. Amen'.
Ecco qua. In ogno caso, è la stessa preghiera che reciti in silenzio dentro di te, per cui tanto vale dirla apertamente. Douglas N. Adams . Praticamente Innocuo
Per chi manifesta interessi alieni alle masse che lo circondano tutto questo è una condanna. Si vive come in un mondo a parte, si cresce come lo scemo del villaggio, guardati con un misto di scherno e di perplessità perché non ci si adatta a vivere da robot in un contesto sociale che non ha posto per chi è affetto da una malattia chiamata pensiero.
«Cerca di pensare alla mia infanzia», cominciò, «come a un'educazione vuota, di ceto medio, in un appartamento di città. Sola e disperata, con poche amiche che mi sembravano cretine e allo stesso tempo ne sapevano più di me. E i miei genitori... creature che conoscevo, cui ero fin troppo legata, ma con cui non avevo dei  veri contatti. Sembravano tirare avanti in una routine giornaliera infelice e sterile come la morte. Tutto il mondo era un brutto mistero per me. Non sapevo cosa volesse la gente, perché si comportasse in un determinato modo, a quali regole segrete obbedisse. Facevo sempre delle lunghe passeggiate nel parco, da sola, cercando di scoprirle».
(Jane - Siamo tutti soli - Fritz Leiber)
Nel suo divertentissimo romanzo Guida Galattica per gli Autostoppisti Adams immagina, tra il serio e il faceto, che una razza di intelligentissimi alieni costruisca un computer potentissimo affinche esso possa finalmente trovare la risposta alla Domanda sulla Vita, l'Universo e Tutto Quanto. Dopo un incredibile lasso di tempo il computer da la sua risposta: quarantadue. Tra lo stupore generale il computer spiega che la risposta è corretta e se nessuno è in grado di capirla questo dipende solo ed esclusivamente dal fatto che nessuno ha ben chiara qual'è in effetti la domanda.
Tra una risata e l'altra Adams riflette sul fatto che indagare e conoscere, presupposti fondamentali per essere realmente liberi, non è un compito semplice e dipende dalla capacità di porsi le domande giuste.
La non conoscenza non da nessun diritto, né a credere né a non credere, né ad avere fiducia né a non averne, e nessuna libertà.(Umberto Veronesi).
Il più grande dono che lo studio offre all'uomo è la consapevolezza della sua ignoranza. Una volta studiato in ogni sua sfaccettatura un argomento quello che accade è che ci si accorge di quanto poco si conosce effettivamente, di quanto ancora c'è da scoprire e di quante altre domande si sono aperte alla mente curiosa e attenta.
Coloro i quali sono in gradi di porsi le domande giuste, coloro i quali hanno l'ardire di indagare i diversi, ma sempre interconnessi, campi dello scibile sono gli eletti. Sono quegli uomini, sono quelle donne, a cui noi ("uomini" moderni che tanto ci vantiamo della nostra civiltà) dobbiamo la nostra comodità e il nostro vivere civile. Eppure, tra una birra in frigo e una partita di calcetto, tra una messa in piega e c'è posta per te, non siamo così diversi da quelle scimmie che passano i pomeriggi oziosi a spulciarsi a vicenda dopo aver riempito la pancia con quello che l'albero offre loro.
«Mangiare, bere, morire: tre manifestazioni fondamentali della vita universale e impersonale. Gli animali vivono questa esistenza impersonale e universale senza conoscerne la natura. La gente comune ne conosce la natura, ma non la vive e, anche se vi pensa seriamente, si rifiuta di accettarla. Le persone illuminate la conoscono, la vivono e l'accettano completamente. Mangiano con una differenza, bevono con una differenza e muoiono con una differenza.»
(L'Isola. Aldous Huxley)
E allora forse la grande intuizione di Huxley non è tanto nell'aver immaginato la possibilità di creare a tavolino uomini che ameranno la loro schiavitù, quanto invece l'aver realizzato che non tutti gli uomini vogliono emulare Icaro e che non tutti gli uomini sono figli di Prometeo. Ai più insomma non importa nulla di essere schiavi, pecore nell'ovile, alla libertà  preferiscono una triste felicità. Come diceva Rousseau: l'uomo chiama pace una miseranda schiavitù.
Come un cavallo indomito
alla sola vista del morso rizza i crini, batte la terra con i piedi e
si dibatte furiosamente, mentre invece un cavallo domato sopporta
pazientemente la frusta e lo sperone,  così l’uomo barbaro non piega la
testa al gioco che l’uomo civile porta senza protestare, e preferisce
la libertà più tempestosa a una tranquilla soggezione. Non è dunque
dall’avvilimento dei popoli asserviti che bisogna giudicare delle
disposizione dell’uomo verso la servitù, ma dai prodigi che hanno fatto
tutti i popoli liberi per garantirsi dall’oppressione. So che i primi
vantano continuamente la pace e la quiete che vantano nelle loro
catene, e che miserrimam servitutem pacem appellant (chiamano
pace una miseranda schiavitù): ma quando vedo gli altri sacrificare i
piaceri, la quiete, la ricchezza, la potenza, la vita stessa per
conservare quel solo bene che è tanto disprezzato da coloro che l’hanno
perduto; quando vedo degli animali nati liberi che odiano la cattività
e che si rompono la testa contro le sbarre della loro prigione; quando
vedo turbe di selvaggi nudi spregiare i piaceri europei e sfidare la
fame, il fuoco, il ferro e la morte pur di conservare soltanto la loro
indipendenza, sento che non spetta a schiavi il parlare di libertà. (J.J. Rousseau –  Origine della Disueguaglianza tra gli Uomini)
La libertà in fondo spaventa, inquieta. Non è da tutti il saper convivere con l'incertezza e l'assenza di punti di riferimento. I confini dell'ovile, la compagnia del gregge, offrono sicurezza e certezze a cui è difficile rinunciare. 
È una cosa monotona il genere
umano. I più impiegano la maggior parte del tempo per vivere, e quel
poco di libertà che rimane loro li spaventa a tal punto, da indurli a
cercare tutti i mezzi per sbarazzarsene. Ah, la sorte dell’uomo!
(Goethe – I Dolori del Giovane Werther)
Puoi avere la pace. Oppure puoi avere la libertà. Non sperare di averle entrambe.
R.A.Heinlein
E allora la domanda che Il Mondo Nuovo di Huxley pone a tutti noi è la seguente: è preferibile una felice schiavitù a una dolorosa libertà? Meglio una dolce schiavitù oppure un'amara libertà?
La riposta è probabilmente individuale e si presta a molteplici sfumature. Io non posso rispondere per me e neppure per voi. E in ogni caso il mio compito non è darvi risposte, ma farmi domande e invitare voi a fare lo stesso. Per fortuna possiamo ancora essere artefici del nostro destino e scegliere come impiegare il tempo a nostra disposizione. Ognuno di noi sceglie chi essere. Purtroppo... o per fortuna.


Ecco, questo è il messaggio che vorrei esortarvi a fare vostro: non accontentatevi mai! Non ci sono verità con la "v" maiuscola. C'è soltanto la curiosità umana di esplorare il mondo, perciò non fatevi fermare: siate inquieti! Dipende da voi il futuro del paese e della cultura italiana. Dipende da voi , ed è anche il vostro futuro. Vi auguro più che buona fortuna. (dall'ultima lezione di Enrico Bellone)


Sì, forse è soltanto una beffa colossale, senza scopo. Ma ti posso dire questo, qualunque sia la risposta finale: ecco davanti a te una scimmia che ha cominciato ad arrampicarsi, e continuerà a farlo, a guardarsi intorno per vedere tutto il possibile, finché l'albero la sosterrà.  
(Robert Anson Heinlein, I Figli di Matusalemme)



L’Universo, com’è già stato notato in altre sedi, è un posto maledettamente grande, cosa che, per amore di un’esistenza quieta, la maggior parte della gente finge di non sapere.
Molti sarebbero anzi pronti a trasferirsi in luoghi ancora più piccoli di quelli che riescono a concepire con la mente, e di fatto non sono poche le creature che lo fanno.
In un angolo del Braccio Orientale della Galassia si trova il grande pianeta di foreste Oglaroon, la cui popolazione «intelligente» vive tutta quanta su un unico noce abbastanza piccolo e affollato. Su tale albero gli Oglarooniani nascono, crescono, fanno l’amore, scrivono intagliando la corteccia articoli filosofici riguardanti il significato della vita, l’inutilità della morte e l’importanza del controllo delle nascite, combattono alcune guerre di minima entità, e infine muoiono legati alla parte di sotto dei rami più esterni e inaccessibili. Gli unici Oglarooniani che lasciano il loro albero sono quelli che vengono sbattuti fuori per avere commesso il crimine nefando di chiedersi se qualche altro albero potesse ospitare la vita o se gli altri alberi fossero comunque qualcosa di diverso da semplici allucinazioni prodotte dall’avere mangiato troppe oglanoci.
Benché un simile comportamento possa sembrare strano, non c’è forma di vita nella Galassia che non si sia resa colpevole in qualche modo dello stesso errore, ed è proprio per questo motivo che il Vortice di Prospettiva Totale suscita un orrore indicibile.
Quando infatti si viene messi nel Vortice si ha per un attimo la visione globale di tutta l’infinita, inimmaginabile immensità della creazione, e in mezzo a questa immensità si ha modo di distinguere un segnale minimo, minuscolo, microscopico, che dice Tu sei qui.
(Ristorante al Termine dell’Universo – Douglas N. Adams)


giovedì 21 maggio 2015

Vagando senza appigli tra Utopia e Distopia


L'Utopia di un uomo è la Distopia di un altro.

Sbam! Cominciamo subito con un'affermazione diretta, violenta, che sia magari anche impopolare e chiarisca subito il senso di questo articolo.
Sì, avete letto bene: intendo proprio dire che l'Utopia per tutti non esista, che sia un fraintendimento, un'illusione per coloro che sono convinti di conoscere la verità ultima o per coloro che ritengono sia raggiungibile, prima o poi, in qualche modo.
Qualche annetto fa decisi di dedicarmi alla lettura delle più famose utopie del mondo occidentale. Avevo già letto i capolavori distopici di Orwell (1984) e Huxley (Il Mondo Nuovo) e volevo toccare con mano le meravigliose utopie che tanto mi avevano affascinato quando ero un liceale alle prese con le interrogazioni di filosofia. Mi dedicai così alla lettura di Platone (La Repubblica), Campanella (La Città del Sole) e More (Utopia). In ognuna di queste tre letture trovai differenti opinioni sul come dovrebbe funzionare una ipotetica società perfetta, ma una cosa avevano in comune: mi lasciarono una crescente inquietudine e un amaro sapore di disgusto. Questi tre signori, questi tre giganti della filosofia, erano riusciti a tirar fuori il meglio delle loro idee su come regalare il paradiso in terra agli uomini, e ne era venuto fuori un inferno! A onor del vero ricordo di aver letto da qualche parte che More volesse in realtà scrivere una critica delle utopie, ma se per l'inglese possiamo accettare il beneficio del dubbio siamo ben certi che lo stesso non possa farsi per Platone.

L'Utopia di Platone è più terrificante di quella di 1984 di Orwell, perché Platone auspica che si realizzi quel che Orwell teme possa avvenire.
Arthur Koestler
Bella la schizofrenia occidentale. Ci osannano le Utopie della filosofia perché hanno provato a descrivere il mondo perfetto, ci mettono in guardia dalle Distopie liberticide e... E non si accorgono che in pratica sono la stessa cosa! Con una sola differenza, piccola ma ben significativa: una Distopia è immaginata allo scopo di mettere in guardia, una Utopia al contrario ha lo scopo di mostrare i pregi di un ordine sociale minimizzandone i difetti (che anzi agli occhi dell'ideatore non dovrebbero neppure esistere).

Chi pensa che i regimi comunisti dell'Europa Centrale siano esclusivamente opera di criminali, si lascia sfuggire una verità fondamentale: i regimi criminali non furono creati da criminali ma da entusiasti, convinti di aver scoperto l'unica strada per il paradiso.
(Milan Kundera)
Ma non c'è bisogno di scomodare i regimi comunisti, li conosciamo bene e siamo abituati a certi esempi. Magari invece qualcuno sarà sorpreso nel riflettere sul fatto che Hitler non era un pazzo omicida, ma un sincero sognatore che sperava in un mondo perfetto per il popolo ariano. Ecco: è sottile la precisazione, ma cambia tutto. Ogni Utopia prevede un mondo perfetto e felice, ma solo ed esclusivamente per quanti ne fanno parte.
In una Utopia non c'è spazio per il dissenso, non c'è spazio per il diverso, non c'è spazio per il mutamento. Se il mondo fosse stato popolato solo da Ariani avremmo avuto l'Utopia di Hitler, per lui i non ariani, essendo sub-umani, erano solo un ostacolo al raggiungimento dello scopo. Non erano umani, per cui il loro dolore non era rilevante e non macchiava l'utopia nazista.
Lo stesso vale per i regimi comunisti: l'utopia del proletariato era tale solo per i proletari, i broghesi e gli aristocratici (e in un certo senso anche i contadini) non ne facevano parte e per cui non era rilevante la loro sofferenza.

A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo.
(Primo Levi, Se Questo è un Uomo)

Se volete possiamo andare avanti fino alla Bibbia, dove il Dio di Abramo promette una sorta di paradiso terrestre agli ebrei in una sorta di Utopia ante litteram che lascia incredibilmente fuori tutti i non ebrei dalla definizione di umanità.
Perché qualunque Utopia è destinata a fare i conti con il problema di chi è destinato a farne parte, così come dovrà fare i conti con le modalità per realizzarla. E dovrà fare i conti con le modalità per combattere il dissenso. Infatti, piccolo particolare che a volte sfugge a chi sogna la società perfetta, quel che è perfetto per un uomo non è detto che lo sia per il suo vicino di casa.
E ritorniamo quindi alla frase che apre questo articolo che mette in evidenza come sia impossibile avere una società così perfetta da mettere tutti d'accordo. La cosa poi non dovrebbe stupirci più di tanto, dato che basta fermarsi un attimo a riflettere per rendersi conto che la società civile non è nient'altro che un continuo compromesso tra gli interessi del singolo e quelli della società. La buona società è la risultante di un equilibrio liquido tra questi due poli e qualunque tentativo di rendere fissa e immutabile la pendenza di una ipotetica bilancia fra i due degenera nell'anarchia o nella tirannia, che è poi l'anarchia dei pochi.
E quindi tutti i filosofi che hanno provato a immaginare un mondo perfetto hanno sbagliato, il loro impegno è stato meritevole ma era destinato in partenza a fallire.
Ma l'Utopia non esiste neppure per il singolo uomo. Se la felicità dell'uomo dipende dalla garanzia di avere un tetto sopra la testa, un pasto caldo, cure adeguate e magari un letto caldo ad aspettarlo, è altrettanto vero che la felicità di un uomo dipende anche dalla libertà di poter scegliere ogni giorno in autonomia del proprio destino. E mentre filosofi e utopisti immaginavano le loro utopie non si accorgevano che la libertà vera spesso si contrappone alla felicità. Un uomo sarà felice quando avrà una casa, una donna da amare, dei figli da crescere come suoi eredi, degli amici, un'attività che lo renda soddisfatto. Ma tutto questo limita la sua possibilità di cambiare, di evolvere, di provare altre strade. Qualunque tentativo di cambiar vita gli farà rischiare di perdere le sue certezze e la solida sicurezza che si è costruito.
James Gunn (I Fabbricanti di Felicità) e Walter Tevis (Solo il mimo canta al limitare del bosco) hanno affrontato il tema della felicità dell'uomo e della rinuncia alla libertà che ne sembra essere la conseguenza.
Ma il capolavoro assoluto, l'opera che meglio indaga sul rapporto tra felicità e libertà è senza dubbio Il Mondo Nuovo (Brave New World) di Huxley: scritto nel 1932, questo romanzo rappresenta forse la descrizione più vivida e precisa di come un ordine sociale perfetto e indolore sia allo stesso tempo liberticida e tirannico. Quella che Huxley ha illustrato è l'Utopia perfetta: tutti sono felici perché sono fatti per essere felici di quel che hanno, o se non lo sono prendono una droga, priva di effetti collaterali, che li rende immediatamente felici. Se tutto questo sia Utopia oppure Distopia dipende, forse, solo dai punti di vista. Huxley mette per iscritto un'inquietante descrizione di quello che è oggi il vivere dell'uomo moderno. Ingrandite la foto che trovate in fondo all'articolo e avrete uno splendido paragone tra Orwell e Huxley (se non riuscite a leggerla provate qui).
E scusate se, anche questa volta, è solo fantascienza.

 



giovedì 14 maggio 2015

Con un piede nella tragedia e uno nella commedia

In ospedale ne vedi tanti, non devi neppure entrare in un reparto, alle volte basta semplicemente andare al bar a prendere una bottiglia d'acqua e ti ritrovi davanti un bimbo alto a malapena quanto il tuo ginocchio che sgambetta tutto allegro. Quel bimbo però ha qualcosa di particolare, ha la testa rasata e una cicatrice che lo attraversa da parte. Chissà quante ne ha passate, chissà quante ne passerà ancora, eppure quel bimbo è lì tutto felice accanto alla madre.
Ecco: ci sono momenti che ti ricordano che qualunque sia la merda che la vita ti butta addosso c'è sempre chi sta affrontando qualcosa che è ben peggiore di quello che affronti tu. E quel qualcuno lo fa col sorriso stampato in faccia.

cosa vuoi che sia
passa tutto quanto
solo un po' di tempo e ci riderai su 
(Ligabue)

E passa ancora prima se ci ridi sopra anche mentre affronti i tuoi mostri. Perché spesso la differenza tra la tragedia e la commedia è una mera questione di interpretazione.


"Io restai a chiedermi se l'imbecille ero io, che la vita la pigliavo tutta come un gioco, o se invece era lui che la pigliava come una condanna ai lavori forzati;
o se lo eravamo tutti e due"

giovedì 7 maggio 2015

L'insostenibile leggerezza dell'aborto

Quando i soldati nazisti furono interrogati riguardo alle violenze brutali che usarono nei confronti dei prigionieri "non ariani" molti di loro risposero:-così ci era stato ordinato, non potevamo fare diversamente.
A mia memoria nessuna persona che faccia riferimento all'area "di sinistra" ha mai ritenuto queste parole una vera giustificazione degna di essere presa in considerazione. In parole povere si contesta a quei soldati il non aver esercitato il diritto all'obiezione di coscienza, che obbliga un individuo ad agire secondo coscienza e disubbidire a un ordine che vada contro i propri principi morali. Da ciò consegue che se un uomo non rinuncia a commettere un'azione criminale è responsabile per quell'atto.
Ora quindi non riesco onestamente a comprendere le grida di sdegno nei confronti dei medici antiabortisti.
Sfugge forse a queste persone che nel momento in cui si considera umano un feto è implicito considerare la sua soppressione come omicidio. Il mio intervento non vuole tracciare un confine e neppure indicare una definizione che va ben oltre le mie intenzioni e competenze, si tratta di un argomento così complesso che è ben difficile affrontarlo con cognizione di causa e completezza scientifica.
Il succo della faccenda è che non si capisce per quale motivo un soldato nazista avrebbe dovuto farsi ammazzare pur di non uccidere un ebreo mentre al contrario un medico non ha il diritto di dire no a chi richiede l'uccisione di un essere umano incapace di intendere e di volere.
L'eugenetica nazista è stata terrificante, ma non mi pare che si scherzi neppure adesso. Solo che stavolta le vittime non gridano.
Anche allora fu tutta questione di definire l'essere umano, di chi meritasse il titolo e chi no.
Forse aiuterebbe cercare di capire il punto di vista altrui, invece di trincerarsi dietro barricate francamente rivoltanti e infantili. Un tema così importante meriterebbe ben più rispetto.

 Ogni tanto, dopo una mattinata in DH, mia sorella mi racconta di come vi siano così tante coppie che si sentono consigliare con eccessiva facilità l'aborto. Si tratta di aspiranti genitori a cui viene detto che il loro figlio ha una qualche patologia,meglio abortire e riprovarci.
Molte volte si tratta di patologie di poco conto, cose del tutto trascurabili o curabilissime. Molti genitori non si arrendono e cercando scoprono che alcune di queste terapie si possono fare nel nostro policlinico, altri invece accettano il consiglio e scelgono di abortire e riprovare. Quello che è grave, in tutto questo, è che si inviti una donna ad abortire con tanta leggerezza, come se si trattasse di cambiare un vestito. Ormai è culturalmente accettato che l'aborto è una cosa normale, quasi abituale direi, basta pensare alle tutto sommato recenti polemiche per una sezione di un cimitero dedicata ai feti nati morti o abortiti. Poiché una parte dell'opinione pubblica non considera umano un feto allora è normale eliminarlo subito, non essendoci alcun motivo di curarlo per farlo star bene. Se voi comprate un'auto e dopo due giorni scoprite che è difettosa non andate dal meccanico a farla sistemare, ma tornate dal concessionario e la cambiate.
Questo è quello che succede con l'aborto: se il feto è difettoso si cambia con uno sano e ci si toglie il pensiero.
Considerando sub umano il feto molti professionisti non prendono neppure in considerazione l'idea che si possa intervenire per curarlo. Non sono informati sulle terapie esistenti e non sono interessati allo sviluppo di nuove terapie.
Non pensiate che io voglia schierarmi dalla parte degli antiabortisti, la mia opinione è ancora ben lontana dall'essere chiara e limpida sulla faccenda. Quello che considero grave in tutto questo è l'estrema leggerezza con cui molte persone, e ancora più colpevolmente tantissimi medici, trattano una questione così delicata.
 

In conclusione vi consiglio questo splendido  racconto di P.K.Dick. Ancora una volta la fantascienza, altrimenti detta speculative fiction, ci illustra la banalità del quotidiano da un punto di vista allieno. Fidatevi... vale la pena.

martedì 14 aprile 2015

Quiz di logica e modelli scolastici

Buttiamola sul flame, direbbe qualcuno! Il post di oggi è ispirato a un articolo de La Repubblica in cui si fa riferimento a un quesito logico ormai diventato virale.

Cheryl vuole far indovinare la data del suo compleanno a due nuovi amici, Albert e Bernard. Ma lo fa fornendo 10 date possibili: 15, 16 e 19 maggio; 17 e 18 giugno; 14 e 16 luglio; 14, 15 e 17 di agosto. Poi dice ad Albert qual è il mese giusto, ma non il giorno. A Bernard dice il giorno ma non il mese.

A quel punto Albert dice: "Io non so quando è il compleanno di Cheryl, ma so per certo che nemmeno Bernard lo sa". 

Bernard risponde: "All'inizio non sapevo quando fosse il compleanno, ma ora lo so"
Albert: "Allora anche io so quando è il compleanno"

Vi dico la verità: ho provato a risolverlo mentre camminavo per strada nei due minuti per arrivare dal barbiere e, me tapino, non ci sono riuscito. Il punto però non è la precoce dipartita dei miei neuroni, ma il fatto che stando all'articolo  il quesito viene ritenuto troppo difficile per ragazzi di 15/16 anni.
Faccio subito due riflessioni: il senso di quesiti di questo genere non è lo svolgimento del compitino come può essere scrivere su un foglio i risultati della addizioni o imparare a memoria una poesia. Quando ci si pone di fronte a un problema del genere si intende stimolare negli studenti il ragionamento logico e il senso critico, nota dolente di tutto il sistema scolastico italiano.
La seconda riflessione invece parte dal presupposto che il quesito non è semplicemente un problema posto a dei ragazzini, ma una delle domande delle Olimpiadi di Matematica. Cito l'articolista di Repubblica:
Un 'dilemma' che per gli standard orientali qualcuno ritiene normale che sia risolto da ragazzi di 15 e 16 anni e che a leggerlo spiega molto del perché gli studenti di Singapore (ma anche della Corea del Sud, Giappone, Macao, Hong Kong e Shanghai) sono i migliori tra i 44 paesi dell'Ocse.
Il vero dilemma è come sia possibile che il nostro sistema scolastico produca delle capre di tal genere. Il "dilemma" non è certamente semplice per una mente non abitutata ad affrontare certi quesiti, ma non è neppure così complicato da richiedere un "cervellone" per trovare una soluzione. Semmai il problema è che manca in Italia, l'abitudine a stimolare il ragionamento logico e il senso critico negli studenti. Fior di docenti si vantano dell'importanza delle materie classiche (Latino, Italiano, Letteratura, Filosofia, Storia) salvo poi insegnarle come fossero le tavole della legge da mandare a memoria. Ci si fissa sullo stile o sull'amor cortese e ci si dimentica di analizzare criticamente uno scritto, ci si fossilizza in pratica sulla forma e si pone in secondo piano il contenuto. Forse perché neppure i docenti sono capaci di un insegnamento che vada oltre la lezioncina da mandar giù a memoria? E badate bene che il problema non è solo la promozione obbligatoria, che pur di danni ne ha fatti, ma tutto un sistema in cui nell'insegnamento vanno a finire spesso menti coltivate con pappette predigerite da imparare a memoria e senza il minimo sviluppo del senso critico. In pratica è un circolo vizioso: quei pochi che hanno sviluppato una capacità di giudizio critico, vuoi per meriti propri o perché magari hanno avuto la fortuna di incontrare il docente giusto, andranno in gran parte a fare altro nella vita lasciando l'insegnamento alla massa di analfabeti logici. Si tratta di una critica che vale tanto per le materie umanistiche che per quelle scientifiche. Insegnare la matematica senza aiutare lo studente a comprendere i perché è sicuramente utile per aver gente capace di far di conto, ma trascura l'altrettanto importante senso critico che sta dietro allo studio dei teoremi e dell'analisi. E lo stesso si può dire per la fisica, per la chimica e per le scienze in generale. Docenti che fanno mandar giù la legge di gravitazione universale ma che liquidano il metodo scientifico (e i suoi perché) in un paragrafo a margine. E quindi ci ritroviamo affossati da una massa di capre che non sono in grado di comprendere perché un farmaco che ha passato diverse fasi di sperimentazione è scienza mentre invece Vannoni e stamina sono una frode. E, badate bene, si tratta di un problema che non riguarda solo chi non ha fatto studi scientifici, ma anche molti laureati in aree che con la scienza hanno molto a che fare. Si tratta insomma di un problema trasversale che non dipende tanto da cosa si studia, ma da come lo si studia. Un problema di modalità di insegnamento e di pensiero, un enorme problema culturale.
Tornando al quesito, che ancora una volta ammetto di non aver saputo risolvere, sembra non essere neppure uno dei più difficile per una competizione come le Olimpiadi di Matematica. Quando partecipai alla fase nazionale nel 2006 trovai ragazzi preparatissimi sia in quanto a nozioni che in quanto a ragionamento logico, eccellenze dotate e preparate da docenti in grado di insegnare. Logico (per restare in tema) che non tutti possono essere delle eccellenze, ma arrivare a sostenere che anche solo per approcciare un quesito logico sia necessario essere dei cervelloni è l'equivalente di quanti sostengono che le tracce della maturità (certamente migliorabili in quanto a selezione) siano troppo complesse per studenti così giovani. Significa, in parole povere, mettere in dubbio il suffraggio universale.

Chiudo questo post proponendovi un quesito decisamente più semplice, ai limiti dell'imbarazzante:
Giuseppe Rossi deve percorrere 90 km con la sua bicicletta. Ha a disposizione le due ruote originali più una di scorta. Giuseppe ha una fissa: vuole che alla fine del percorso le tre ruote abbiano percorso lo stesso numero di chilometri. Quanti chilometri avrà fatto alla fine ciascuna ruota?

Banale, semplice, ai limiti del ridicolo. Eppure sono sicuro che alcuni di voi sbaglieranno la risposta, così come la sbagliarono tanti dei miei compagni di classe all'età di quindici anni.
Segno di una istruzione che non è capace (o forse non vuole) formare uomini pensanti e liberi, ma soltanto produrre una massa acefala e inquadrata.
Alla fine l'ho buttata sul flame. Sono stato di parola.


lunedì 13 aprile 2015

Axiomatic

Recensione originariamente pubblicata su CDUSL

 AXIOMATIC di Greg Egan


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Una droga che vi pone al cospetto delle infinite possibilità del multiverso, uno scienziato capace di dar vita al bambino perfetto, un virus realizzato da un fanatico che vorrebbe costringere tutti gli uomini alla monogamia e al timor di Dio, una donna costretta a portare in grembo il cervello del proprio uomo per salvarlo dalla morte. Questo, e molto altro, è quello che troverete quando leggerete Axiomatic: la prima antologia che raccoglie diciotto racconti, pubblicati tra il 1989 e il 1992, dell'autore australiano Greg Egan.
Se Egan fosse solo un cantastorie potremmo divertirci con le stranezze dei suoi universi, senza dover magari andare troppo a fondo per apprezzare l'importanza dei suoi più straordinari lavori. Invece Greg Egan è, senza alcun dubbio, uno degli scrittori più importanti della fantascienza degli ultimi decenni, con una produzione di altissimo livello qualitativo, e nelle sue opere è praticamente impossibile trovare una singola pagina che sia scritta al solo scopo di intrattenere. Lo sanno bene tutti quei lettori che si sono smarriti tra le pagine di Incandescenze, l'ultimo suo romanzo pubblicato daUrania, che è risultato pesantemente ostico ai lettori meno interessati a certi aspetti della Hard-Science Fiction. Eppure, per chi ha la capacità di affrontare i suoi scritti, o la pazienza di sopportare i passaggi di più difficile interpretazione, Egan è un autore che può dare infinite soddisfazioni e soprattutto catturare il lettore con i suoi racconti brevi. Molti ritengono che il misterioso Egan dia il meglio nella narrativa breve, la quale vive dello sviluppo rapido di una idea forte. E certamente non sono le idee che mancano all'autore australiano, semmai gli viene spesso criticato il suo scarso approccio al personaggio, l'assente spessore di colui che dovrebbe vivere nell'universo usato da Egan per raccontare le idee partorite dalla sua vulcanica mente.
È nelle storie più brevi in effetti, che l'autore fra gli altri di Teranesia e Permutation City riesce ad approfondire adeguatamente la psiche degli uomini e delle donne che si trovano  nelle sue storie. Egan sceglie per i suoi racconti questioni che toccano nel profondo l'animo umano, mette in discussione il libero arbitrio e le basi stesse dell'idea di essere umano, accompagnando il lettore in un viaggio letterario e filosofico pieno di domande e con ben poche risposte definitive.
Come già detto per Luminous (la seconda antologia personale, pubblicata anch'essa da Urania), Axiomatic è un opera imprescindibile, affascinante e, è bene non dimenticarlo, divertente.
Senza voler entrare nel merito di tutti i racconti mi limiterò a dare una breve panoramica di quelli che più mi hanno colpito:
Ne Il Diario da Cento Anni Luce scopriamo che il futuro è già stato raccontato e che nessuno ha il potere di cambiare ciò che è già stato scritto. È una classica storia sul libero arbitrio, con un finale tutt'altro che scontato.
In Sorelle di Sangue un virus terribile infetta praticamente tutti, ma per cause genetiche è mortale solo in pochissimi casi. Due sorelle gemelle sono contagiate e dovranno affrontare la terapia consapevoli che si salveranno  entrambe oppure moriranno entrambe. Scopriranno che le necessità collettive spesso sono in conflitto con i diritti del singolo.  È una storia sulla medicina, sulla ricerca scientifica, le sue necessità e le sue insidie. Ed è una storia sull'animo umano.
Assiomatico è la storia di un uomo che non riesce a dimenticare l'omicidio della moglie. Si rivolgerà all'ultimo ritrovato della tecnologia: una macchina capace di modificare le convinzioni più intime di un uomo, cambiando di fatto il suo stesso modo di pensare.
In La Cassetta di Sicurezza ci ritroveremo a vivere le giornate di un uomo senza nome, che sin da bambino si sveglia ogni mattina in un corpo diverso prendendo in prestito, per una giornata, il corpo di qualcun'altro.
In Un Rapimento un ricco commerciante d'arte deve fare i conti con un dilemma etico e con la paura di far soffrire per l'eternità ciò che gli è più caro.
Imparare a Essere Me  descrive il dilemma esistenziale di fronte all'invenzione della gemma, un dispositivo che registra le connessioni del cervello umano e le imita diventandone la copia perfetta. Quando il cervello comincia a deteriorarsi lo si può rimuovere e lasciare la gemma al suo posto, continuando a vivere come se niente fosse accaduto e diventando in pratica immortali. E lasciando aperte un mare di domande su cosa vuol dire essere umani e, soprattutto, cosa vuol dire essere un individuo.
Il Fossato è una storia che parte dal tema dell'immigrazione per finire a parlare di DNA, di selezione naturale e di lotta per la sopravvivenza.
In La Carina un uomo che desidera ardentemente  diventare padre decide di acquistare una carina, una sorta di imitazione di essere umano. Le carine sono  esseri umani modificati in modo che lo sviluppo neurologico sia inferiore a quello di una qualunque scimmia e progettati appositamente per morire al compimento del 4° compleanno.
In Più Vicino assisteremo alle avventure di una coppia desiderosa di sperimentare le infinite possibilità offerte dalla tecnologia alla mente umana. Il protagonista è una sorta di solipsista che vive con l'eterno dubbio di non aver di fronte nient'altro che una macchina. Il finale è certamente degno di nota.

Axiomatic è nel complesso una raccolta decisamente notevole, che lascia un solco nella storia della fantascienza per la competenza e per la completezza con cui certi temi sono trattati. Egan dimostra  un'inesauribile immaginazione, riuscendo al contempo nell'impresa, non sempre semplicissima, di costruire una degna scenografia in cui far danzare le sue storie.
Si tratta di uno di quei libri che si spera non finiscano mai. Buona lettura.
Vincenzo Cammalleri